duminică, 30 ianuarie 2011

Professione diplomatico

Essere diplomatico oggi: una missione tra sacrifici e gratificazioni
Intraprendere la carriera diplomatica è un’aspirazione affascinante ma tuttaltro che semplice: cerchiamo di capire quali siano innanzitutto i requisiti caratteriali richiesti ai giovani aspiranti.
Per prima cosa è importante mettere alla prova la propria determinazione, ad esempio attraverso un tirocinio al Ministero degli Affari Esteri o presso un’ambasciata, in modo da poter avere le idee chiare per proseguire nell’inseguimento del proprio obiettivo. Questa possibilità è offerta dall’accordo MAE-CRUI, che rende possibile l’effettuazione di uno stage che avvicini lo studente universitario all’ambiente diplomatico.
Successivamente, sarà più facile constatare la passione e la propensione ad approfondire le questioni internazionali. Sebbene un esercizio utile per ottenere dimestichezza con queste tematiche sia quello di leggere i giornali, ciò non è sufficiente. E’ importante, infatti, congiungere la teoria alla pratica, quindi uscire dall’Ambasciata e calarsi nella realtà locale del paese dove si viene inviati.
Oltre alla motivazione, un’altra questione si presenta agli occhi dell’aspirante diplomatico: l’impiego in diplomazia richiede un cambio frequente di paesi e di funzioni. Il professionista deve essere mentalmente aperto, dotato di fantasia e creatività, e soprattutto emotivamente disponibile a recarsi fuori dal proprio Paese, come spiega François Trémeaud, Direttore esecutivo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: «Devi essere pronto ad andare all’estero in termini di difficoltà, famiglia, figli. Non è possibile per un diplomatico rifiutare di essere inviato ovunque nel mondo in qualsiasi momento». Secondo l’Ambasciatore Riccardo Sessa, è importante tenersi in aggiornamento continuo sulle problematiche e sulle novità che nascono nel proprio Paese d’origine.
Ad un diplomatico sono richieste anche altre doti: quelle della riservatezza, della sintesi, della comprensione dei fatti e il senso di responsabilità: uno dei compiti del diplomatico è infatti quello di assicurare l’adempimento degli obblighi pattizi e dei doveri istituzionali. Inoltre, come spiega il Ministro Terzi di Sant’Agata, Direttore Generale per gli Affari Politici Multilaterali e i Diritti Umani, «i diplomatici sono funzionari dello Stato responsabili dell’attuazione delle politiche di governo».
Doti caratteriali devono essere poi accompagnate da una preparazione culturale molto solida, che va dalla storia, alla politica, alle conoscenze linguistiche e all’economia. Quest’ultima sta divenendo sempre più importante nelle questioni che coinvolgono le rappresentanze diplomatiche. E’ nata la figura del Consigliere Commerciale, che all’interno delle Ambasciate e dei Consolati si interessa delle opportunità commerciali per il suo Paese. Ecco che allora la figura del diplomatico assume anche una connotazione manageriale.
Un’altra funzione del diplomatico, a detta dell’Ambasciatore Amaduzzi, è quella di offrire dei servizi agli italiani all’estero. Egli si pone infatti come rappresentante politico del suo governo, mentre i funzionari che operano presso i consolati e le rappresentanze italiane all’estero si occupano di attività più operative, come i rapporti con la stampa o i problemi della comunità italiana.
Il Ministero degli Affari Esteri, inoltre, dovrà coordinare i soggetti attivi sulla scena internazionale, ossia organi quali le regioni, gli enti locali, le università e le aziende private.
L’attività diplomatica, però, oltre a garantire il prestigio, comporta anche degli svantaggi: chiari sono i disagi che possono derivare dal viaggiare continuamente; ciò può dar vita ad una “sindrome di derooting”, ovvero la sensazione di aver perduto le proprie radici a causa dei continui spostamenti.
Il consiglio di Gherardo Casini è allora quello di «specializzarsi lungo il proprio percorso formativo e poi proporsi come “specialisti” in un certo settore» per facilitare la percezione di una propria chiara e precisa identità.
Queste competenze sono valutate da un concorso per titoli ed esami, molto difficile e selettivo, superato il quale si trascorrono nove mesi al Ministero come Segretario di legazione in prova; dopo questo periodo, si è generalmente ammessi al primo grado della carriera diplomatica, quello di Segretario di legazione.
Teoricamente, la macchina diplomatica funziona così: il Ministro, che nomina gli ambasciatori, grado più elevato della carriera, comunica loro la linea politica da seguire; gli ambasciatori gli fanno presente quello che ritengono possibile fare od ottenere, e sulla base di queste informazioni il Ministro prende le sue decisioni, che la diplomazia esegue.
Non bisognerebbe mai dimenticare la definizione di Talleyrand, secondo cui la diplomazia è l’arte del possibile!
Un buon diplomatico ha indubbiamente anche un certo talento nella scrittura. Numerosi sono gli esempi di diplomatici letterati, o diplomatici artisti.
Un esempio tra i tanti è quello di Ivo Andric, diplomatico serbo tra il 1920 e il 1941 e premio Nobel per la letteratura. Probabilmente la sua definizione di diplomatico è tra le più corrette quanto affascinanti che siano state scritte: “Sono uomini di intelligenza profonda ma chiara, uomini di sensibilità semplice e limitata e imperturbabili, ma non insensibili; capaci di sotterfugi, ma non chiusi e misteriosi, sempre meno loschi; forti, ma non rozzi; rapidi e decisi, ma non irascibili o impulsivi; realisti, sobri, ma non monotoni e noiosi. Devono saperne abbastanza, ma non dovrebbe esserci traccia di erudizione o pedanteria in ciò che sanno, e la loro conoscenza dovrebbe sorprendere piacevolmente e forse impressionare coloro con i quali stanno parlando, ma mai imbarazzare, offendere o provocare vergogna. Vale lo stesso per il coraggio: devono averne, e dovrebbe essere solido e affidabile, ma dovrebbero mostrarlo solo in circostanze estreme e conservarlo come se conservassero armi che tutti sanno che possiedono, ma non sono mai viste.
Devono anche possedere immaginazione, ma fino a un certo punto, abbastanza perché un uomo possa considerare ogni tematica da ogni punto di vista e con tutte le sue possibilità e conseguenze immediate; nulla più di questo è pericoloso sia per essi che per il lavoro che stanno compiendo”.
Più breve, ma forse altrettanto incisivo, è Daniele Varé: “Diplomacy is the art of letting someone have your way”.
Ma come si svolge la vita di un ambasciatore? Certamente non si tratta solo di cocktail, danze, cene e champagne. Non è soltanto questo. Per iniziare, vi sono ambasciate e consolati in aree non esattamente prestigiose né comode, esposte a pericoli, a volte ad attacchi, difficoltà di movimento e povertà. In secondo luogo, un ambasciatore ha responsabilità enormi di rappresentanza, cui è giunto quasi sempre per meriti indiscutibili.
Quella del diplomatico è una professione privilegiata e invidiabile? Forse lo è, sicuramente è una professione unica nelle sue caratteristiche e che richiede anni e anni di studio, duro lavoro e a volte sacrifici, oltre ad una forte disponibilità a mettere se stessi al servizio dei vicini e del proprio Paese: una vera e propria missione.