duminică, 30 ianuarie 2011

Editoriale Eleutherìa

E’ per me un grande piacere presentare il primo numero di Eleutherìa, rivista del gruppo Studenti per le libertà. In questi primi mesi di fervente attività, il nostro gruppo ha avuto occasione di conoscersi e farsi conoscere. Si è discusso, tanto, di politica, a livello locale, come nazionale ed internazionale; di cultura, di economia, di sport come momento di aggregazione. E’ nostra intenzione portare su carta stampata almeno parte di queste nostre discussioni e del nostro pensiero attraverso articoli suddivisi in otto rubriche (oltre all’editoriale, le rubriche mondo università; politica interna; politica estera; economia e finanza; cultura; sport; l’angolo polemico).

Ci definiamo liberali e di centrodestra, amanti della libertà in tutte le sue forme e sempre disposti al dialogo, nel segno della reciprocità. Siamo fieri della nostra italianità e riteniamo che la democrazia liberale sia il miglior metodo di governo. Guardiamo all’Europa con fiducia e realismo, ritenendo che l’Occidente sia uno solo e che il mondo potrebbe essere migliore se tutti conoscessero il vero significato della libertà e la mettessero in pratica. I nostri propositi, le nostre idee, potrebbero dirsi “moderate”: non nel senso del non stare né da una parte, né dall’altra, o di non avere idee proprie; ma nel rifiuto di ogni estremismo e posizione preconcetta.

Ciò nonostante, è dai tempi di Enrico Berlinguer, guru della sinistra italiana (che da allora non ha avuto un leader della sua statura) che non essere di sinistra significa essere diversi.
Nella famosa intervista a Scalfari dell’81, Berlinguer parlava infatti dei mali che affliggevano il sistema politico italiano, ad eccezione (a suo parere) del Partito Comunista Italiano: “I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela. […] Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, […] senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello: […] sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. […] I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RaiTv, alcuni grandi giornali. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene giudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi”.

Rileggere oggi le parole dell’ex segretario del PCI fa un certo effetto. Sembrano una requisitoria contro il partito di Fassino, i Democratici di Sinistra, che del PCI sono i fieri eredi.
E’ così: per 50 anni la sinistra si è infiltrata in tutti i gangli della cultura e dell’informazione, mentre la DC, dimentica delle origini sturziane e degasperiane, a parte pochi esempi di limpidezza e moralità (ci riferiamo in particolare al presidente emerito Cossiga), annaspava nel suo ambiguo rapporto tra politica e malavita. In realtà la sinistra non è stata da meno; e se ha saputo scampare il pericolo Mani Pulite (il nostro garantismo ci fa fidare -ma non troppo- delle sentenze dei giudici), oggi, alla luce dell’ennesimo scandalo finanziario e dei reiterati sospetti di connivenza con la criminalità di molte amministrazioni locali di sinistra, ci sembra che sia la fazione politica meno adatta a parlare di questione morale.

Basti citare ad esempio che il 90% dei consigli comunali del napoletano (gran parte dei quali in mano ai DS) sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e amenità simili, e decine di consigli comunali sono stati sciolti dal Viminale nei mesi scorsi. Il clientelismo è un male diffuso nella politica, e i fatti dimostrano che ciò è vero soprattutto per la sinistra; la quale certamente dispone di più cattedre universitarie, professori di scuole superiori, direttori di banche e giornali e amministratori locali di quanti ne disponga il centrodestra. Insomma, questa questione morale ci sembra una chimera che si rivolta contro i propri stessi assertori!

Eppure, Achille Occhetto, non nuovo a risurrezioni politiche, insisteva nel marzo 2004 da Ferrara: “Voi appartenete ad un’umanità moralmente inferiore rispetto ai pacifisti”; ergo, esistono almeno due umanità: una “superiore” ed una “inferiore”. Ecco il vero clash of civilizations!

Per Gino Strada, altro paladino della sinistra, “chi non vota no alla proroga della missione italiana in Iraq è un delinquente politico”; manco a dirlo, noi stiamo dalla parte di chi ha votato sì. Certo, ci sarebbe piaciuto che il presidente Bush avesse ascoltato il consiglio dell’alleato italiano di perseguire nella diplomazia; ma, una volta scelto di andare in guerra (per motivazioni almeno tanto ideali quanto d’interesse), l’unica via possibile per l’Italia era quella della fedeltà allo storico alleato, perpetrata attraverso l’invio di truppe di pace (a guerra conclusa) incaricate della ricostruzione e della sicurezza nei territori di competenza. Ricordiamo che il governo D’Alema (giustamente, ma illecitamente dal punto di vista del diritto internazionale convenzionale) nel 1999 partecipò al bombardamento del Kosovo, senza avallo dell’ONU; oggi, la partecipazione ad un post-guerra (che in effetti ci ha visti partecipare su richiesta dell’ONU) è invece dipinta come “la-guerra-che-Berlusconi-ha-fatto-per-leccare-il-culo-a-quell’assassino-di-Bush”.
Sì, si tratta delle stesse persone che votano per questa sinistra e che berciano cori irripetibili sulla morte dei nostri carabinieri, martiri di pace a Nassiryia. La situazione paradossale è che per mesi chi blaterava “ritiriamo le nostre truppe dall’Iraq” o parlava di “occupazione avversata dai resistenti” ha goduto di gran credito presso i media italiani.

Oggi questo atteggiamento è reso ancora più colpevole dalle violente contestazioni in tutto il mondo musulmano per la pubblicazione di alcune vignette satiriche sulla religione islamica e Maometto.

Ci duole costatare (anche se molti fingono di non saperlo) come ormai sia possibile insultare solo Gesù e la religione cattolica: a titolo di esempio, si guardino le vignette di Vauro sul Nazifesto, o quelle di islamici che dipingono il papa come un suino, o le affermazioni deliranti di tale Adel Smith, noto per aver definito la Chiesa una “associazione a delinquere” e il Crocifisso un “cadaverino in miniatura”. (!)

Il doppiopesismo dimostrato dalla sinistra italiana ed europea nel condannare le vignette dell’ininfluente giornale danese e nell’ignorare tutto il resto è disarmante. Così come ha dell’incredibile il licenziamento del direttore di France Soir ad opera dell’editore, ed è inaccettabile la timidezza dei governanti occidentali nel condannare le violenze contro le proprie ambasciate e i propri simboli. Bruciare una bandiera nazionale è una caratteristica che accomuna islamici e sinistri (aggiungiamo “estremisti” a entrambi i termini, per carità!)

Tutto questo ci sembra un inevitabile segno della pericolosità del relativismo, della dottrina secondo cui un’idea, una cultura, una religione valgono l’altra. Di quella forma mentis secondo cui è un delitto parlare di migliore e di peggiore, categorie riportabili sotto il termine “differente”, specchio della political correctness. Ebbene, noi riteniamo che nel valutare il mondo che ci circonda non sia possibile derogare ai valori fondamentali della vita, della libertà, del rispetto della persona. Una civiltà basata sull’odio nei confronti dell’altro e soprattutto sulla negazione di questi valori è certamente peggiore di una che, pur fra mille contraddizioni, su questi valori si basa.

Certo, le culture non si caratterizzano come blocchi monolitici. Ma gli episodi di violenza (trascurando quelli terroristici) scatenati dall’applicazione dei più banali diritti di libertà, quelli di pensiero e di stampa, perpetrati in molti paesi musulmani, certificano che c’è molto da cambiare nella mentalità di quei popoli.
Un mondo migliore è possibile. Ma come? La maggior parte dei bambini africani andrà a letto affamata ogni notte del 2006, ma gli sforzi comuni degli scorsi anni per la riduzione del debito dei paesi poveri e per gli aiuti allo sviluppo lascia ben sperare. La tecnologia, in particolare quella a basso costo concepita per diffondere il benessere nei paesi poveri, inizierà ad essere più largamente fruibile. Un esempio: da quest’anno nei paesi in via di sviluppo faranno la loro apparizione il computer portatile da 100 dollari, il cellulare da 20 dollari e una serie di trattamenti per le malattie, accompagnati dalla promessa di maggiori fondi per la ricerca e lo sviluppo.
L’India raggiungerà la Cina nel novero delle nuove potenze economiche emergenti; New Orleans verrà ricostruita e l’Europa mostrerà un nuovo realismo, come spiega il presidente della Commissione Barroso (a proposito, l’Italia è stata recentemente lodata da Bruxelles per la sua condotta…)

Questi interventi “a pioggia”, tuttavia, non risolveranno certo i problemi dell’umanità. Seguendo la visione italiana della politica estera, misto di realismo ed idealismo, e le teorie di studiosi come Natan Sharansky, non si può non guardare ad una Lega delle democrazie come soluzione vincente per la risoluzione dei problemi della comunità internazionale, e in particolare dei paesi del terzo e quarto mondo. Qui più che altrove la mancanza di democrazia implica una mancanza di libertà e un’impossibiltà di diffusione della ricchezza. Le ristrette élites di questi paesi detengono tutte le risorse politiche ed economiche, lasciando la popolazione nella povertà. Gli aiuti dall’estero spesso non portano a un miglioramento generale della situazione proprio per la voracità dei dittatori, che a volte chiedono legittimazione per mezzo di elezioni fittizie.

Nel recente editoriale intitolato The one thing Bush got right, il settimanale inglese The Economist ha sottolineato proprio come la missione di diffondere la democrazia sia la strada giusta per la risoluzione di molti problemi del mondo. Strada che gli Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno seguito negli ultimi anni, con l’impegno di continuare a lavorare in tal senso.

La storia dimostra che la principale caratteristica della democrazia - la libertà di eleggere e mandare a casa il proprio governo - non garantisce che i paesi che la adottano siano buoni vicini o facciano sempre le scelte giuste. L’amministrazione repubblicana, però, ha avuto degli innegabili meriti: ha deposto due regimi, quello dei talebani e quello di Saddam Hussein, ritenuti pericolosi e, invece di imporre delle forti personalità amiche, come fatto durante la guerra fredda, ha lasciato che afgani e iracheni decidessero liberamente per la prima volta il proprio governo.

L’Italia deve assolutamente porsi su questa scia, come fatto negli ultimi 5 anni, a dimostrazione che l’Occidente è uno solo e che la libertà e la democrazia sono gli obiettivi da perseguire.

Con la libertà personale, verrà per i paesi poveri la liberalizzazione di mercati e servizi. Anche in Europa, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale, è questa la ricetta da seguire. La liberalizzazione, portando maggior concorrenza, è una risposta semplice ed efficace agli utopismi statalisti della sinistra. Berlusconi ha avuto il merito, tra l’altro, di affievolire in Italia la logica dell’assistenzialismo, dello stato sociale pesante, contrapponendovi la cultura della libera iniziativa, che la storia dimostra vincente sulle utopie comuniste e su quelle keynesiane.

Avendo dinanzi a noi gli esempi di Margaret Thatcher, Ronald Reagan, e più recentemente Silvio Berlusconi e Tony Blair, non possiamo non desiderare uno stato ispirato dal liberalismo, e in cui trovi sempre meno spazio l’inutile burocrazia.

Noi abbiamo un sogno, realizzabile: che la libertà in ogni sua forma prevalga sulle imposizioni di Stato, Religione, Politica, Economia, Utopia, ed è per questo che spingiamo per il trionfo di democrazia, libertà e liberalismo in ogni parte del globo.