duminică, 30 ianuarie 2011

Inchiesta sull’ONU/1: L’antisemitismo al Palazzo di vetro

Il problema dell’antisemitismo in seno alle Nazioni Unite è vecchio quasi quanto l’Organizzazione: tanti sono gli episodi in cui l’ONU ha mostrato tutta la sua incapacità di difesa o, addirittura, una precisa volontà di attacco nei confronti del popolo ebraico.
Già nel 1948 l’ONU non si adoperò per difendere la propria risoluzione su Israele e su Gerusalemme, per giungere poi a riconoscere de facto il diritto al terrorismo.
Quando, nel 1967, il dittatore egiziano Gamal Abdel Nasser, che non nascondeva «l’obiettivo di distruggere Israele», chiese all’ONU di ritirare i Caschi blu presenti nell’area, ottenne subito ciò che voleva, nonostante avesse già schierato 80 mila uomini e 550 carri armati al confine con lo Stato ebraico.
Nel 1975 il dittatore razzista e assassino dell’Uganda, Idi Amin Dada, tra gli applausi degli ambasciatori presenti, chiese l’espulsione di Israele dall’ONU e lo «sterminio» dello Stato ebraico. Quel giorno l’Assemblea Generale approvò la risoluzione passata alla storia con il nome «Il sionismo è razzismo».
Un comunicato a seguito della conferenza delle Nazioni Unite a Caracas, diffuso dal Dipartimento dell’Informazione Pubblica delle Nazioni Unite il 14 Dicembre 2005, titola: «Una soluzione a due stati del conflitto Israelo-Palestinese non è più praticabile».
A completare il quadro, le recenti dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che nell’ottobre 2005 ha invocato la distruzione di Israele e la sua cancellazione dalla mappa geografica. Il giorno successivo a queste dichiarazioni, il ministro degli Esteri Silvan Shalom ha richiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. In quell’incontro, tutti i 15 membri hanno condannato le affermazioni di Ahmadinejad, mentre Kofi Annan si è detto costernato per i commenti e ha ribadito gli obblighi dell’Iran e il diritto all’esistenza di Israele. Ciò nonostante, Ahmadinejad ha riaffermato la sua posizione il 28 ottobre 2005, augurando «morte a Israele e all’America». Questo atteggiamento, unito ai propositi di riarmo nucleare, pone una seria sfida per le Nazioni Unite, che tutti sperano possa essere risolta per vie diplomatiche.
L’ONU nacque in un momento di straordinaria moral clarity, in cui i fondatori seppero distinguere “senza se e senza ma” tra l’aggressione dei nazifascisti e il proprio ruolo di liberatori. L’obiettivo attuale deve essere ritrovare quella chiarezza morale, evitando di incorrere in pericolosi quanto antistorici negazionismi. L’Europa ha un grande compito a tal proposito, e deve riuscire a parlare con una voce sola contro le falsità e il terrorismo, in difesa della democrazia. Israele ha diritto ad esistere, e gli ebrei a ricevere scuse.

Un iraniano a Bologna

Mahmoud, studente di Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna, racconta la sua esperienza prima e dopo la partenza dal suo paese.

- Nik, partiamo dal nome: preferisci non essere chiamato Mahmoud, vero?

Certamente. Il mio nome anagrafico è un nome arabo e islamico. La mia lingua madre è il persiano, e non riconoscendomi neanche nella religione musulmana non mi riconosco in questo nome.

- Parlaci della tua vita a Teheran.

Facevo la vita da un ragazzo del ceto medio. Mi sono laureato in letteratura inglese. Facevo il cronista per una rete televisiva in lingua inglese della macchina di propaganda del Regime: era l’unico modo per poter praticare questo mestiere. Ovviamente si viveva una doppia vita, e dovevi dire quello che volevano loro. Per fortuna che pochi superiori conoscevano l’inglese!

- Quando hai lasciato l’Iran e cosa ti ha spinto a tale scelta?

28 agosto 2001. Perché volevo essere libero di pensare e vivere e non rischiare di essere arrestato dalla polizia morale ogni volta che camminavo con una persona dal sesso opposto!

- Perché hai scelto l’Italia?

Sono nato a Roma. Conoscevo già la lingua. Volevo ottenere la cittadinanza e vedere che cosa mi ero perso.

- Come ti trovi nel nostro Paese?
E’ molto fastidioso dover chiedere il permesso di soggiorno nel paese dove sei nato! Il resto va bene.

- E a Bologna?

È una bella città dalle dimensioni giuste per uno che arriva da fuori; tra l’altro, affollata di studenti Erasmus, che rendono l’ambiente molto internazionale e cosmopolita. Dall’altro canto, c’è tanto anti-americanismo gratuito e quello che io chiamo “pacifismo da pancia piena” che in questi tempi vanno tanto di moda negli ambienti universitari.

- Ci descrivi la tua giornata tipo?
Lo svolgimento della mia giornata dipende molto dal periodo: ormai mi mancano tre esami alla laurea, quindi capita raramente che frequenti una lezione, a meno che non si tratti di un corso che mi piace e non ho potuto frequentare in passato. Nei periodi di lavoro insegno l’inglese nel pomeriggio, altrimenti a volte vado nel nostro dipartimento o presso la sala centrale dell'Università per controllare la posta e navigare su internet. Di sera mi incontro con gli amici, a volte andiamo in centro di Bologna per un aperitivo. Ogni tanto, da solo o con un amico, vado in piscina. Insomma, non c'è proprio una giornata tipo!

- Come reputi i costi della vita nel nostro paese? Hai bisogno di lavorare molto per pagarti lo studio?

Nella media. L’università costa meno dei paesi anglosassoni, ma più della Germania o dei paesi scandinavi, dove sono quasi gratuite. Io sono fortunato perché faccio l’insegnante d’inglese o comunque lavori legati a questa lingua. Il problema è che quando ti offrono più lavoro, accetti anche se al momento non ne hai bisogno, perché non sai cosa ti può capitare domani… Quindi finisci spesso per essere un lavoratore che studia anziché viceversa.

- Quali ritieni siano le prospettive lavorative una volta laureato?

Il mio corso, Scienze della Comunicazione, almeno a Bologna è molto vasto e dispersivo: ci si occupa di molti campi e discipline, spesso interessanti, ma quasi mai in profondità. Inoltre, ha una impostazione molto teorica; ecco perchè temo che una preparazione del genere non basti e di conseguenza mi sto informando per iscrivermi a un corso di laurea specialistica davvero specializzante, come ad esempio Relazioni internazionali.

- Quali corsi della tua facoltà consiglieresti a chi ha intenzione di studiare a Bologna?

Dipende da quel che si vuol fare. Se vuoi lavorare, partendo dalla base di conoscenze fornite dal mio corso di laurea, il passo non risulta immediato: spesso tutte queste belle conoscenze umanistiche non portano necessariamente all’acquisizione di competenze e capacità per svolgere un lavoro. Bisogna investire, tempo e denaro, in parallelo per imparare le lingue, o acquisire esperienze concrete. Nel nostro corso, come ho accennato, si “studia” la pubblicità senza diventare pubblicitari, si “studiano” siti web senza diventare web designer, si “studia” giornalismo senza farlo, e via dicendo. A volte, ho l'impressione che sia necessario avere ottomila euro per poi fare un master pratico, altrimenti si rischia di sapere tante belle cose senza poter far niente!

- Cosa cambieresti della tua università e cosa invece credi sia un punto di forza?

Quello che cambierei è, come dicevo, la mancanza di approcci pratici allo studio. Un punto di forza è la presenza di tanti accordi e programmi di scambio, anche per periodi brevi e dunque non solo Erasmus (che resta il caso ideale), che danno la possibilità di allargare gli orizzonti e fare esperienze all’estero.

- Se ne avessi la possibilità, ritorneresti in Iran?

Manco morto!

- Come giudichi la cultura occidentale?

La cultura occidentale è quella che accoglie tutti da tutto il mondo è gli dà la possibilità di realizzarsi, di diventare “uno di casa”, ed è così buona, anzi buonista, che fa sì che ci si pieghi a casa propria per esaudire i desideri, nonché i capricci ed i fantomatici “diritti” spesso discutibili degli ultimi arrivati, che non sono altrettanto aperti nei confronti di chi gli accoglie!

- Hai un sogno per il tuo futuro? E per il futuro del tuo Paese?

Il mio sogno di breve termine è di liberarmi dell’etichetta “extra-comunitario”. E poi voglio entrare in politica o fare giornalismo politico che mi appassiona e perché vedo che ce n’è tanto bisogno. Per l’Iran naturalmente spero nella nascita di una democrazia: per questo credo che il cammino intrapreso dall’Afghanistan e dall’Irak verso la libertà dei popoli possa dare una speranza e ispirazione anche agli altri popoli islamici.

Intervista al prof. Vittorio Cigoli

Professore Ordinario di Psicologia Clinica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano. Direttore dell’Alta Scuola di Psicologia “A. Gemelli”
- Cosa si aspetta dal corso di laurea nel quale lavora? E dall’università?

Sicuramente mi aspetto che l’università sostenga la didattica e la possibilità di fare ricerca. Purtroppo il sistema accademico italiano è ricco di burocrazia, ma questo riguarda l’università italiana in generale. Direi che noi docenti siamo qui soprattutto per fare ricerca. Non siamo professori di liceo, le funzioni sono diverse. Inoltre esistiamo come università in quanto abbiamo programmi internazionali di valore. La Cattolica pone grande attenzione a questo aspetto, facendo buoni investimenti.
Psicologia è una facoltà di prestigio, tra le migliori in ambito non solo italiano, ma internazionale. Si è investito molto in ambito di didattica, secondo una triplice direttiva: la creazione di gruppi di lavoro e laboratori di ricerca per studenti; l’esistenza di lauree magistrali valide; l’istituzione di ben nove master di secondo livello. Del resto, la facoltà di Psicologia della Cattolica ha un’antica e celebre tradizione: padre Agostino Gemelli fu il primo psicologo d’Italia.

- Riesce ad individuare due cose negative e due cose positive dell’università nella quale lavora?

Come accennato prima, aspetti positivi dell’Università Cattolica sono sicuramente il sostegno alla ricerca e i buoni rapporti internazionali. Un ulteriore aspetto è costituito dall’investimento nelle sedi: in particolare la facoltà di Psicologia, con la creazione di una nuova sede e di laboratori in cui gli studenti possano applicare le proprie conoscenze, è da ritenersi all’avanguardia rispetto a tante altre realtà. Trovo difficoltà ad indicare aspetti negativi ascrivibili alla mia università in quanto tale. Sicuramente, l’eccesso di impegni amministrativi dei docenti, spesso impegnati in operazioni come quella di organizzazione dei crediti, che non dovrebbero competergli. Si tratta, però, di un aspetto negativo dettato dall’alto, di cui l’Università Cattolica non ha specifiche colpe. Non vedo altre negatività, anche il rapporto con i colleghi è buono.

- Ci dica almeno tre fattori che dovrebbero caratterizzare, a suo avviso, l’università ideale.

Per cominciare, la valorizzazione, oggi scadente, del corpo docente. Attualmente gli stipendi sono risibili se confrontati con quelli di altri paesi europei; vi sarebbe bisogno di un riconoscimento adeguato del nostro ruolo anche dal punto di vista economico.
In secondo luogo, è fondamentale insistere sugli investimenti per la ricerca. Senza ricerca l’università non compie appieno il proprio ruolo.
Infine, è necessario investire su reti internazionali. In particolare, bisogna attuare la possibilità di ricerca all’estero e lo scambio di esperienze didattiche.

- Cosa suggerirebbe ad uno studente che sta iniziando l’università?

Posso riferirmi alla facoltà di Psicologia, nella quale lavoro. Prima di tutto, bisogna considerare la passione! I ragazzi che si iscrivono all’università devono essere consci che la situazione del mercato del lavoro in Italia è pessima; quindi consiglio vivamente di scegliere una facoltà che li appassioni, con materie che si è sicuri potranno piacere. In Italia vi sono molti psicologi. Per un buon percorso di formazione al giorno d’oggi sono necessari dieci anni di studio universitario, tra università, tirocinio e master. La soddisfazione dal punto di vista economico, purtroppo, è pari a zero. Gli psicologi devono uscire dalla clinica: il mercato clinico è saturo. V’è, invece, una domanda crescente di psicologia applicativa. Sta alle capacità dei laureati ritagliarsi nuovi spazi nel mondo del lavoro; bisogna essere creativi e mettere passione nella propria iniziativa, sfruttando possibilità diverse di lavoro, come quelle che possono venire dalle nuove tecnologie di comunicazione e da internet. La passione è fondamentale sia durante che dopo il percorso di studi.

Professione diplomatico

Essere diplomatico oggi: una missione tra sacrifici e gratificazioni
Intraprendere la carriera diplomatica è un’aspirazione affascinante ma tuttaltro che semplice: cerchiamo di capire quali siano innanzitutto i requisiti caratteriali richiesti ai giovani aspiranti.
Per prima cosa è importante mettere alla prova la propria determinazione, ad esempio attraverso un tirocinio al Ministero degli Affari Esteri o presso un’ambasciata, in modo da poter avere le idee chiare per proseguire nell’inseguimento del proprio obiettivo. Questa possibilità è offerta dall’accordo MAE-CRUI, che rende possibile l’effettuazione di uno stage che avvicini lo studente universitario all’ambiente diplomatico.
Successivamente, sarà più facile constatare la passione e la propensione ad approfondire le questioni internazionali. Sebbene un esercizio utile per ottenere dimestichezza con queste tematiche sia quello di leggere i giornali, ciò non è sufficiente. E’ importante, infatti, congiungere la teoria alla pratica, quindi uscire dall’Ambasciata e calarsi nella realtà locale del paese dove si viene inviati.
Oltre alla motivazione, un’altra questione si presenta agli occhi dell’aspirante diplomatico: l’impiego in diplomazia richiede un cambio frequente di paesi e di funzioni. Il professionista deve essere mentalmente aperto, dotato di fantasia e creatività, e soprattutto emotivamente disponibile a recarsi fuori dal proprio Paese, come spiega François Trémeaud, Direttore esecutivo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: «Devi essere pronto ad andare all’estero in termini di difficoltà, famiglia, figli. Non è possibile per un diplomatico rifiutare di essere inviato ovunque nel mondo in qualsiasi momento». Secondo l’Ambasciatore Riccardo Sessa, è importante tenersi in aggiornamento continuo sulle problematiche e sulle novità che nascono nel proprio Paese d’origine.
Ad un diplomatico sono richieste anche altre doti: quelle della riservatezza, della sintesi, della comprensione dei fatti e il senso di responsabilità: uno dei compiti del diplomatico è infatti quello di assicurare l’adempimento degli obblighi pattizi e dei doveri istituzionali. Inoltre, come spiega il Ministro Terzi di Sant’Agata, Direttore Generale per gli Affari Politici Multilaterali e i Diritti Umani, «i diplomatici sono funzionari dello Stato responsabili dell’attuazione delle politiche di governo».
Doti caratteriali devono essere poi accompagnate da una preparazione culturale molto solida, che va dalla storia, alla politica, alle conoscenze linguistiche e all’economia. Quest’ultima sta divenendo sempre più importante nelle questioni che coinvolgono le rappresentanze diplomatiche. E’ nata la figura del Consigliere Commerciale, che all’interno delle Ambasciate e dei Consolati si interessa delle opportunità commerciali per il suo Paese. Ecco che allora la figura del diplomatico assume anche una connotazione manageriale.
Un’altra funzione del diplomatico, a detta dell’Ambasciatore Amaduzzi, è quella di offrire dei servizi agli italiani all’estero. Egli si pone infatti come rappresentante politico del suo governo, mentre i funzionari che operano presso i consolati e le rappresentanze italiane all’estero si occupano di attività più operative, come i rapporti con la stampa o i problemi della comunità italiana.
Il Ministero degli Affari Esteri, inoltre, dovrà coordinare i soggetti attivi sulla scena internazionale, ossia organi quali le regioni, gli enti locali, le università e le aziende private.
L’attività diplomatica, però, oltre a garantire il prestigio, comporta anche degli svantaggi: chiari sono i disagi che possono derivare dal viaggiare continuamente; ciò può dar vita ad una “sindrome di derooting”, ovvero la sensazione di aver perduto le proprie radici a causa dei continui spostamenti.
Il consiglio di Gherardo Casini è allora quello di «specializzarsi lungo il proprio percorso formativo e poi proporsi come “specialisti” in un certo settore» per facilitare la percezione di una propria chiara e precisa identità.
Queste competenze sono valutate da un concorso per titoli ed esami, molto difficile e selettivo, superato il quale si trascorrono nove mesi al Ministero come Segretario di legazione in prova; dopo questo periodo, si è generalmente ammessi al primo grado della carriera diplomatica, quello di Segretario di legazione.
Teoricamente, la macchina diplomatica funziona così: il Ministro, che nomina gli ambasciatori, grado più elevato della carriera, comunica loro la linea politica da seguire; gli ambasciatori gli fanno presente quello che ritengono possibile fare od ottenere, e sulla base di queste informazioni il Ministro prende le sue decisioni, che la diplomazia esegue.
Non bisognerebbe mai dimenticare la definizione di Talleyrand, secondo cui la diplomazia è l’arte del possibile!
Un buon diplomatico ha indubbiamente anche un certo talento nella scrittura. Numerosi sono gli esempi di diplomatici letterati, o diplomatici artisti.
Un esempio tra i tanti è quello di Ivo Andric, diplomatico serbo tra il 1920 e il 1941 e premio Nobel per la letteratura. Probabilmente la sua definizione di diplomatico è tra le più corrette quanto affascinanti che siano state scritte: “Sono uomini di intelligenza profonda ma chiara, uomini di sensibilità semplice e limitata e imperturbabili, ma non insensibili; capaci di sotterfugi, ma non chiusi e misteriosi, sempre meno loschi; forti, ma non rozzi; rapidi e decisi, ma non irascibili o impulsivi; realisti, sobri, ma non monotoni e noiosi. Devono saperne abbastanza, ma non dovrebbe esserci traccia di erudizione o pedanteria in ciò che sanno, e la loro conoscenza dovrebbe sorprendere piacevolmente e forse impressionare coloro con i quali stanno parlando, ma mai imbarazzare, offendere o provocare vergogna. Vale lo stesso per il coraggio: devono averne, e dovrebbe essere solido e affidabile, ma dovrebbero mostrarlo solo in circostanze estreme e conservarlo come se conservassero armi che tutti sanno che possiedono, ma non sono mai viste.
Devono anche possedere immaginazione, ma fino a un certo punto, abbastanza perché un uomo possa considerare ogni tematica da ogni punto di vista e con tutte le sue possibilità e conseguenze immediate; nulla più di questo è pericoloso sia per essi che per il lavoro che stanno compiendo”.
Più breve, ma forse altrettanto incisivo, è Daniele Varé: “Diplomacy is the art of letting someone have your way”.
Ma come si svolge la vita di un ambasciatore? Certamente non si tratta solo di cocktail, danze, cene e champagne. Non è soltanto questo. Per iniziare, vi sono ambasciate e consolati in aree non esattamente prestigiose né comode, esposte a pericoli, a volte ad attacchi, difficoltà di movimento e povertà. In secondo luogo, un ambasciatore ha responsabilità enormi di rappresentanza, cui è giunto quasi sempre per meriti indiscutibili.
Quella del diplomatico è una professione privilegiata e invidiabile? Forse lo è, sicuramente è una professione unica nelle sue caratteristiche e che richiede anni e anni di studio, duro lavoro e a volte sacrifici, oltre ad una forte disponibilità a mettere se stessi al servizio dei vicini e del proprio Paese: una vera e propria missione.

Roma, 2 dicembre 2006: noi c’eravamo!

Che sarebbe stata una giornata memorabile lo avevamo intuito già da qualche settimana. Inizialmente raccogliendo le richieste della gente comune che già dalla fine dell'estate ci sollecitava ad andare in piazza il prima possibile contro questo governo vergognoso. E poi, ancora di più, lavorando per quasi un mese in Viale Monza e tra i chiostri della Cattolica per l'organizzazione dell'evento, rispondendo alle telefonate delle persone più diverse e incontrando centinaia di studenti e cittadini che volevano dare un senso alla propria indignazione.
Ma mai avremmo potuto immaginare una manifestazione di questa portata. Partenza alle ore 6 dal Castello Sforzesco, 3 pullman organizzati da noi, più molte altre persone che hanno preferito il treno. Sopraggiunge alla partenza una troupe del TG1, che ci tiene compagnia per una buona ora sul pullman numero uno. Il servizio andrà poi in onda al telegiornale delle 13:30. Lungo l'autostrada, da Milano a Roma, un passaggio incessante di pullman dei partiti della CdL (ne avremo incontrati almeno un centinaio), poi tutti gli autogrill e le aree di servizio dell'A1 intasate di giovani e meno giovani avvolti nelle loro bandiere tricolori, nei soli delle alpi, nei simboli della loro appartenenza politica. Quindi all'ingresso dell'Urbe, una coda chilometrica (oltre un'ora di attesa) con centinaia e centinaia di mezzi bloccati per poter accedere ai parcheggi dell'EUR e delle altre zone periferiche.E, finalmente arrivati, una marea umana mai vista che intasava la metropolitana e si metteva in marcia anche a piedi per raggiungere i luoghi di partenza dei cortei. Dovunque un fiume in piena, uomini e donne di ogni parte d'Italia, di tutte le età e le classi sociali, molti per la prima volta in piazza, a rivendicare tutti insieme il proprio diritto di esistere e di far sentire la propria voce libera.
Tanti cori, è vero, qualcuno anche politicamente scorretto (e meno male!), ma non una vetrina rotta, non un cassonetto ribaltato, non un ferito, né un incidente. Una grandissima lezione di civiltà alle sinistre di lotta e di governo che da sessant'anni hanno monopolizzato le piazze in modo non sempre pacifico. Un corteo immenso, finalmente tricolore e non rosso, una grande festa di popolo che ha difeso le proprie tasche ma anche i propri valori, ringraziando più volte le forze dell’ordine presenti e onorando con una bandiera di 500 metri gli eroi di Nassiryia.
E poi, dopo quasi due ore di cammino, di grida, di salti e di corse, di passione e di energia, ecco aprirsi ai nostri occhi lo spettacolo indimenticabile di una piazza San Giovanni già piena all'inverosimile, pronta ad accogliere non dei semplici leader di partito, ma i padri (Berlusconi, Fini e Bossi) di un'intera comunità pronta ad abbracciarli e a far sentire tutto il suo calore e il suo affetto.Alla fine, stanchi ma rinfrancati dai discorsi, dalle ovazioni, dalle musiche, dagli applausi di un popolo davvero unito, ecco dalle parole di Silvio il regalo più bello: "Gli organizzatori mi pregano di darvi una notizia che ha dello straordinario (...) Hanno valutato la vostra presenza in più di DUE MILIONI di persone!" E la folla si stringe in un unico grandissimo boato di gioia e soddisfazione per una giornata che entrerà nella storia di questo paese.
Dal punto di vista politico, si è trattata della consacrazione di ciò cui i leader della CdL aspirano, ma che mai avrebbero immaginato potesse già esistere: il partito unico della libertà, il partito del centrodestra, della gente perbene, dei lavoratori, dei cristiani e dei liberali, tutti uniti nella difesa dei propri valori e nella contestazione al nichilismo relativista della sinistra.
Ecco i passaggi importanti dei discorsi di Berlusconi e Fini che avvalorano le nostre tesi:
«La nostra idea della politica è pienamente laica, ma ha qualcosa di sacro. “Chi crede non è mai solo”, ha detto il Santo Padre nel suo viaggio in Germania. E ha ragione: guardatevi intorno, guardate quanti siamo. Siamo molti, siamo moltissimi a credere negli stessi ideali. […] Siamo il popolo del centrodestra, un popolo che condivide gli stessi valori, la stessa visione del futuro. Ci accomuna la stessa visione della libertà, della democrazia, della patria, della persona, della famiglia, del lavoro, dell’impresa. Questa è la nostra grande forza.»
«Non saranno le invidie, le malizie di qualcuno, le indiscrezioni fasulle, le tante, troppe polemiche alimentate ad arte a dividere ciò che questa piazza unisce. Questa piazza dimostra la volontà di rappresentare una seria, credibile, vincente alternativa al peggior governo che l’Italia abbia mai avuto. […] Se moltiplicheremo i circoli della libertà, se inviteremo tutti i dirigenti a serrare i ranghi, se facciamo, quindi, ciò che la piazza ci chiede, ciò che oggi sembra lontano è in realtà molto vicino: il centrosinistra, se è maggioranza di poco in Parlamento, non ha la maggioranza del paese.»
Una manifestazione di piazza non abbatterà un governo eletto democraticamente (è tale, aspettando il riconteggio delle schede), ma sicuramente ha mostrato al governo quanto sia debole e quanto poco sia vicino alle aspirazioni e agli interessi degli Italiani. Grazie a tutti i presenti!


Un po' di chiarezza su PACS e coppie omosessuali

Nel tragicomico panorama politico italiano, dal quale i cittadini avvertono un sempre maggiore distacco, come ha "scoperto" il Presidente Napolitano, si sente tanto parlare di PACS e coppie omosessuali, divenuti, anzi, i temi al centro del dibattito politico. Ebbene sì, i nostri parlamentari si scaldano più per la concessione di diritti a famiglie non convenzionali, che per aiutare davvero le famiglie "regolari" in difficoltà.
Ma prima di affrontare la questione, un paio di considerazioni preliminari sono necessarie.
Uno: ogni persona ha il diritto di avere l'orientamento sessuale che desidera, o che gli è stato imposto dalla natura, e di non essere discriminato in ragione di esso. Considerazione che potrebbe apparire superflua, ma non lo è affatto per una lunga serie di motivi.
Due: le manifestazioni di "orgoglio gay", così scomposte e fuori dai canoni, sono assolutamente controproducenti per gli omosessuali. I primi a rendersene conto sono gli stessi omosessuali che vorrei definire "seri", ossia quelli che per natura hanno, da sempre, un orientamento omosessuale, e che soffrono nel vedere strumentalizzata la loro condizione per motivi politico-elettorali.
Ciò detto, cosa sono i PACS? Un atto legislativo, o insieme di leggi, volte a regolare le convivenze tra coppie, siano esse omosessuali o eterosessuali, per la concessione di diritti simili o uguali a quelli delle coppie sposate.
Cosa c'è di male nel regolamentare le "unioni civili"?
Innanzitutto, la definizione "unioni civili" è sbagliata. Una coppia può sposarsi in Comune, e non in Chiesa, e quindi rientrare nella categoria "unioni civili". Ma questo tipo di unione è parificato in tutto e per tutto a quello delle coppie sposate (anche) in Chiesa. E ci mancherebbe...
Le "unioni civili" di cui si discute sono qualcosa di diverso: appunto, coppie - eterosessuali o omosessuali - non sposate, per cui si chiedono particolari diritti.
Ora, questi diritti non possono essere concessi in maniera generalizzata per legge o addirittura costituzionalmente a tutte le coppie non sposate. A tal proposito mi vengono in mente le battaglie della sinistra "in difesa della Costituzione", che viene invece ignorata quando non corrisponde ai propri interessi o calcoli (cito a titolo di esempio l'Art. 29, c. 1: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio" e l'Art. 95, c. 1: "Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri").
Non è possibile concedere mille e uno diritti senza che le coppie in questione abbiano zero doveri e obblighi nei confronti della società. Perchè si dovrebbe permettere a una coppia del genere lo stesso trattamento di una sposata, quando la prima può benissimo decidere una mattina che la propria unione non esiste più? Le coppie sposate hanno doveri e obblighi nei confronti della società che le coppie non sposate non hanno. Ergo, zero doveri, zero (o quasi) diritti.
Il quasi è assolutamente voluto: in maniera diversa rispetto ai pruriti radical-social-comunisti presenti a sinistra come (aihmé!) a destra, sono perfettamente consapevole che la vita non è mai perfetta. I casi della vita sono tanti, non si può considerare una situazione uguale ad un'altra.
Allora, per casi particolari, che possono risultare anche in percentuale elevata, possono essere poste in essere una serie di misure concessorie di diritti attraverso semplici modifiche ad hoc del Codice civile. Mi spiego con un esempio: una coppia eterosessuale non sposata di cinquantenni con bambini, in cui almeno un coniuge ha alle spalle un matrimonio fallito è sicuramente cosa diversa da una "coppia" omosessuale di ventenni che non hanno ancora compreso cosa fare della propria vita. E allora, per la prima coppia si inseriscano nel Codice dei provvedimenti ad hoc a tutela della loro condizione; la seconda, continui a vivere serenamente la propria condizione senza troppo clamore.
Una considerazione finale sul tema dei diritti e in particolare dell'adozione da parte di persone omosessuali: nella società attuale tale concessione è impensabile; assunto che due persone dello stesso sesso non possono procreare, obiettivo che la società (se non la natura o Dio, che pare contino sempre meno) ha assegnato ad un uomo e una donna per volta, gli omosessuali non possono pretendere gli stessi diritti delle coppie eterosessuali; la questione, di ordine sociale e politico volendo tralasciare gli aspetti biologici e morali, non può essere aggirata attraverso l'adozione di un bambino: qui entra in gioco una terza persona, indifesa e incapace di decidere per se stessa, che non si può permettere venga "violentata" nella sua libertà da qualsivoglia voglia di "maternità" o "paternità" omosessuale.
Fortunatamente, in Italia esistono ancora menti pensanti, che si spera evitino una deriva zapaterista.

Anche i giovani di Forza Italia contro Prodi

In qualità di responsabile del gruppo Studenti per le libertà dell’Università Cattolica vorrei precisare alcune cose in riferimento alla contestazione per l’assegnazione di una laurea honoris causa a Romano Prodi da parte della nostra università.
La protesta ha avuto grande risalto su tutti i media italiani, sebbene pochi se ne siano occupati con perizia. Non entro nel merito della decisione del nostro prestigioso ateneo, ma le definizioni di «dilettante», «impacciato» e «dal linguaggio piatto» date in passato da grandi quotidiani europei all’ex presidente della Commissione Europea lasciano comprendere buona parte della levatura del personaggio.
La contestazione è stata operata da tre gruppi: Studenti per le libertà, sicuramente il più numeroso, Azione Universitaria (il gruppo giovanile della componente Destra Sociale) e dai ragazzi del MUP – Lega Nord. Il nostro gruppo, SPL, attivo da due anni in Cattolica, è espressione del movimento giovanile di Forza Italia, ma mira al coinvolgimento di tutti gli studenti di centrodestra.
Una volta riunitici per proclamare la contrarietà a questo riconoscimento, abbiamo organizzato un giro di email, sms, telefonate e utilizzato il nostro sito internet (
www.splmilano.com) per pubblicizzare l’iniziativa, comunque spontanea e volontaria. La linea condivisa dal gruppo è stata quasi del tutto rispettata: non volevamo una protesta partitica, né mostrare simboli o striscioni come altri hanno fatto. Abbiamo affisso manifesti nei chiostri per esprimere ancor più chiaramente il nostro dissenso, ma i contenuti non sono mai stati violenti né volgari.
Il giorno della laurea ci siamo radunati un’ora prima del conferimento e protestato sino al termine della cerimonia. Inoltre, Studenti per le libertà si dissocia apertamente dai saluti fascisti ostentati da altri studenti, che non rispecchiano i valori della destra moderna, liberale e cristiana in cui crediamo e per cui operiamo.

La condanna dei crimini del comunismo

Ogni tanto anche le Istituzioni europee decidono di fare i conti con la storia... Se passasse questa risoluzione, sarebbe un duro colpo a molte delle ipocrisie che fanno del Consiglio d'Europa un uneffective body. Non ci resta che sperare nella buona fede dei nostri rappresentanti!


Mozione alla Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: "La necessità di una condanna internazionale dei crimini del comunismo"

I. Progetto di risoluzione
1. L'Assemblea rinvia alla sua risoluzione 1096 (1996) sulle misure di smantellamento dell'eredità delle vecchie forme di governo totalitarie comuniste.
2. I regimi comunisti totalitari che esistevano in Europa centrale ed orientale nel secolo scorso, e che esistono sempre in molti paesi del mondo, sono stati segnati senza eccezione da violazioni massicce dei diritti dell'uomo. Queste violazioni, chi variavano secondo la cultura, il paese ed il periodo storico, includevano gli assassini e le esecuzioni, che siano individuali o collettivi, i decessi in campi di concentrazione, la morte con la fame, le deportazioni, la tortura, il lavoro forzato ed altre forme di terrore fisico collettivo.
3. I crimini sono stati giustificati in nome della teoria della lotta delle classi e del principio della dittatura del proletariato. L'interpretazione di questi due principi rendeva legittima "l'eliminazione" delle categorie di persone considerate come parassiti alla costruzione di una società nuova e, di conseguenza, come ostili dei regimi comunisti totalitari. In ogni paese, le vittime erano soprattutto nazionali. Era il caso in particolare delle popolazioni delle ex-URSS dove vi fu un numero molto più alto di vittime rispetto a quelle di altre nazionalità.
4. L'Assemblea riconosce che nonostante i crimini dei regimi comunisti totalitari, alcuni partiti comunisti europee hanno lavorato alla realizzazione della democrazia.
5. La caduta dei regimi comunisti totalitari dell'Europa centrale ed orientale non è stata seguita né da un'indagine internazionale esauriente ed approfondita, né di un dibattito sui crimini commessi da questi regimi. Inoltre, i crimini in questione non sono stati condannati dalla Comunità internazionale, come è stato il caso dei crimini orribili commessi in nome del socialismo nazionale (nazismo).
6. Di conseguenza, il grande pubblico è molto poco cosciente dei crimini commessi dai regimi comunisti totalitari. I partiti comunisti sono legali ed ancora attivi in alcuni paesi, quando a volte neppure non hanno neppure preso le distanze dai crimini commessi in passato da regimi comunisti totalitari.
7. L'Assemblea è convinta che la presa di coscienza della storia sia una delle condizioni da soddisfare per evitare che crimini simili si riproducano in futuro. Inoltre, il giudizio morale e la condanna dei crimini commessi svolgono un ruolo importante nell'istruzione data alle giovani generazioni. Una posizione chiara della Comunità internazionale su questo passato potrebbe servire loro da riferimento per la loro azione futura.
8. Inoltre, l'Assemblea ritiene che le vittime di crimini commessi da regimi comunisti totalitari, ancora in vita o le loro famiglie, fanno appello alla compassione, la comprensione ed il riconoscimento delle loro sofferenze.
9. Restano regimi comunisti totalitari in alcuni paesi del mondo, e dei crimini continuano a esservi commessi. Gli interessi nazionali non devono impedire ai paesi di criticare i regimi comunisti totalitari attuali, quando questi meritano di essere criticati. L'Assemblea condanna vivamente tutte queste violazioni dei diritti dell'uomo.
10. I dibattiti e le condanne che hanno avuto luogo fino ad oggi a livello nazionale in alcuni Stati membri del Consiglio d'Europa non possono dispensare la Comunità internazionale dal prendere chiaramente posizione sui crimini commessi dai regimi comunisti totalitari. Ha l'obbligo morale di farlo senza più aspettare.
11. Il Consiglio d'Europa è nella posizione di lanciare tale dibattito a livello internazionale. Tutti i vecchi paesi comunisti dell'Europa, ad eccezione della Bielorussia, ne sono oggi membri, e la tutela dei diritti dell'uomo e lo Stato di diritto sono i valori fondamentali che esso difende.
12. Di conseguenza, l'Assemblea parlamentare condanna con vigore le violazioni massicce dei diritti dell'uomo commesse dai regimi comunisti totalitari e rende omaggio alle vittime di questi crimini.
13. Inoltre, invita tutti i partiti comunisti o post-comuniste dei suoi Stati membri che non lo hanno ancora fatto a riesaminare la storia del comunismo ed il loro passato, a prendere chiaramente le distanze dai crimini commessi dai regimi comunisti totalitari e condannarli senza ambiguità.
14. L'Assemblea ritiene che la chiarezza di questa posizione adottata dalla Comunità internazionale favorirà la prosecuzione della riconciliazione. Inoltre, occorre sperare che incoraggerà gli storici del mondo intero a continuare i loro obiettivi di ricerca che sono di stabilire e verificare obiettivamente lo svolgimento dei fatti.

II. Progetto di raccomandazione
1. L'Assemblea parlamentare rinvia alla sua risoluzione 1096 (1996) sulle misure di smantellamento dell'eredità delle vecchie forme di governo totalitarie comuniste ed alla sua risoluzione... sulla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi comunisti totalitari
2. L'Assemblea ritiene che è urgente organizzare un dibattito internazionale approfondito ed esauriente sui crimini commessi dai regimi comunisti totalitari in attesa di suscitare della compassione, della comprensione e del riconoscimento per tutti coloro che sono stati toccati da questi crimini.
3. È convinta che il Consiglio d'Europa, organizzazione che comprende lo Stato di diritto e la tutela dei diritti dell'uomo, dovrebbe prendere chiaramente posizione sui crimini commessi dai regimi comunisti totalitari.
4. Di conseguenza, l'Assemblea chiede urgentemente al Comitato dei Ministri:
i. di provvedere a istituire un comitato composto da esperti indipendenti, incaricato di raccogliere ed analizzare informazioni e la legislazione relative alle violazioni dei diritti dell'uomo commesse sotto diversi regimi comunisti totalitari;
ii. di approvare una dichiarazione ufficiale a favore della condanna internazionale dei crimini commessi dai regimi comunisti totalitari, e di rendere omaggio alle vittime di questi crimini, indipendentemente dalla loro nazionalità;
iii. di lanciare una campagna pubblica di sensibilizzazione ai crimini commessi dai regimi comunisti totalitari a livello europeo;
iv. di organizzare una conferenza internazionale sui crimini commessi dai regimi comunisti totalitari con la partecipazione di rappresentanti dei governi, parlamentari, universitari, esperti ed ONG.
v. esortare gli Stati membri del Consiglio d'Europa che sono stati governati da regimi comunisti totalitari:
a. a provvedere a istituire comitati composti da esperti indipendenti incaricati di raccogliere ed analizzare informazioni sulle violazioni dei diritti dell'uomo commesse sotto il regime comunista totalitario a livello nazionale in attesa di collaborare strettamente con un comitato di esperti del Consiglio d'Europa;
b. a rivedere la legislazione nazionale per renderla interamente conforme alla raccomandazione (2000) 13 del Comitato dei ministri su una politica europea di comunicazione degli archivi;
c. a lanciare una campagna nazionale di sensibilizzazione ai crimini commessi in nome dell'ideologia comunista, includendo la revisione dei manuali scolastici e l'introduzione di un giorno commemorativo per le vittime del comunismo e l'apertura di musei;
d. ad incoraggiare le Comunità locali a stabilire monumenti commemorativi che rendono omaggio alle vittime dei regimi comunisti totalitari.

III. Motivazione

I. Introduzione
1. La caduta dei regimi comunisti dell'Europa centrale ed orientale, all'inizio degli anni '90, ha aperto numerose discussioni sulla valutazione politica e giuridica degli atti e dei crimini commessi in nome dell'ideologia comunista. La responsabilità degli autori di questi atti e le eventuali prosecuzioni contro di loro, sono ormai temi pubblicamente trattati. In tutti i paesi in passato comunisti, dibattiti hanno avuto luogo a questo riguardo sul piano nazionale e molti hanno adottato leggi specifiche sulla "decomunistizzazione" e/o la depurazione.
2. In tutti i paesi interessati, questo aspetto è stato considerato come uno degli elementi di un processo più ampio di smantellamento del sistema precedentemente in funzione e del passaggio alla democrazia. Era percepito come una questione di ordine interno e gli orientamenti dati dalla Comunità internazionale, ed in particolare da parte del Consiglio d'Europa, erano centrati sulla prevenzione di eventuali violazioni dei diritti dell'uomo.
3. In questo spirito, due relazioni dell'assemblea parlamentare sulle misure di smantellamento dei regimi totalitari comunisti sono state elaborate da M. Espersen e M. Severin per conto della commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell'uomo, rispettivamente nel 1995 e 1996. Il primo è stato rinviato alla Commissione dopo un dibattito all'Assemblea, il secondo ha condotto all'adozione della risoluzione 1096.1996).
4. Tuttavia, il Consiglio d'Europa, come altre organizzazioni intergovernative internazionali, non ha finora iniziato una valutazione generale dei regimi comunisti, esaminato seriamente i crimini commessi nel loro nome né li ha condannati pubblicamente. Per quanto difficile sia capire perché, non ci sono stati dibattiti seri, approfonditi, sull'ideologia che è stata all'origine di un terrore generalizzato, di violazioni massicce dei diritti dell'uomo, della morte di milioni di persone e che ha disciplinato la sorte di nazioni intere. Mentre il nazismo, un altro regime totalitario del 20° secolo, oggetto di indagini, è stato condannato a livello internazionale, gli autori dei crimini sono stati giudicati, crimini simili commessi in nome del comunismo non sono mai stati oggetto né di indagini né di alcuna condanna internazionale.
5. L'assenza di condanna internazionale può spiegarsi in parte con l'esistenza di paesi i cui governi continuano ad aderire all'ideologia comunista. Il desiderio di mantenere buone relazioni con alcuni di loro può dissuadere alcuni attori politici dal trattare questo argomento difficile. Inoltre, molte personalità politiche ancora in attività hanno sostenuto, in un modo o in un altro, i regimi comunisti. Per ragioni ovvie, preferiscono che la questione della responsabilità non sia trattata. Esistono, in molti paesi europei, partiti comunisti che non hanno formalmente condannato i crimini del comunismo. Infine, e questo punto non è il meno importante, elementi dell'ideologia comunista, come l'uguaglianza o la giustizia sociale, continuano a sedurre numerosi membri della classe politica, che temono che la condanna dei crimini del comunismo sia assimilata ad una condanna dell'ideologia comunista.
6. Il vostro relatore tuttavia è convinto della necessità urgente di un dibattito pubblico sui crimini del comunismo e della loro condanna a livello internazionale. Questo dibattito e questa condanna dovrebbero intervenire senza più ritardi, per molte ragioni. Innanzitutto, per quanto riguarda la percezione nel pubblico, dovrebbe essere chiaro che tutti i crimini, anche quelli commessi in nome di un'ideologia che raccomanda gli ideali più rispettabili come l'uguaglianza e la giustizia, sono da condannare, e che questo principio non ammette alcuna eccezione. Questo aspetto è particolarmente importante per le giovani generazioni che non hanno un'esperienza personale dei regimi comunisti. Una posizione chiara della Comunità internazionale su questo passato potrebbe fungere loro da riferimento per la loro azione futura.
7. Sembrerebbe che un tipo di nostalgia del comunismo sia ancora presente in alcuni paesi, di qui il pericolo che i comunisti riprendono il potere nell'uno o l'altro di questi paesi. La presente relazione dovrebbe contribuire ad una presa di coscienza generale della storia di questa ideologia.
8. D'altra parte, finché vittime dei regimi comunisti o dei membri delle loro famiglie saranno ancora in vita, non è troppo tardi per concedere loro una ricompensa morale delle loro sofferenze.
9. Ultima ragione, ma non inferiore: regimi comunisti sono ancora in vita in alcuni paesi e crimini sono ancora commessi in nome del comunismo. Ai miei occhi, il Consiglio d'Europa, Organizzazione che comprende i diritti dell'uomo, non il diritto di restare indifferente e calmo anche se questi paesi non appaiono fra i suoi membri. La condanna internazionale rafforzerà le argomentazioni e la credibilità dell'opposizione interna in questi paesi e potrebbe contribuire ad evoluzioni positive. È il meno che l'Europa, che fu la culla dell'ideologia comunista, possa fare per questi paesi.
10. Occorre sottolineare che, in questa relazione, non è in nessun modo in questione di assegnare un compenso finanziario alle vittime dei crimini comunisti, e che la sola ricompensa auspicata è di natura morale.
11. Il 15° anniversario della caduta dei regimi comunisti in numerosi paesi offre un'occasione favorevole a tale iniziativa. Il Consiglio d'Europa è in una buona posizione per questo, visto che circa la metà degli Stati membri hanno avuto esperienza di regimi comunisti.
12. Nel quadro dell'elaborazione della presente relazione la Commissione ha organizzato un'udienza con la partecipazione di eminenti personalità le cui conoscenze approfondite in materia hanno apportato un importante contributo a questo lavoro. (Vedere il programma dell'udienza - allegato 1). Mi sono anche recato in missione d'informazione in Bulgaria (16 maggio 2005), in Lettonia (3 giugno 2005), ed in Russia (16-17 giugno 2005) (vedere in allegato i programmi delle visite - allegati 2-4). Desidero esprimere la mia gratitudine alle delegazioni parlamentari di questi paesi per l'aiuto fornito alla preparazione di queste visite.
13. Tengo a sottolineare che la presente relazione non pretende in alcun modo di tracciare una tabella completa dei crimini comunisti. La ricerca storica deve essere lasciata agli storici ed esiste già una letteratura abbondante su questo argomento di cui mi sono servito ad elaborare la presente relazione, essendo quest'ultima concepita come una valutazione politica dei crimini del comunismo.

II. Breve presentazione generica dei regimi comunisti
14. I regimi comunisti, come quelli studiati in questa relazione, si definiscono con un certo numero di caratteristiche, in particolare la sovranità di un partito unico di massa legato, almeno a parole, all'ideologia comunista. Il potere è concentrato tra le mani di un piccolo numero di dirigenti del partito, che non sono obbligati a rendere conto né di rispettare il primato del diritto
15. Il partito esercita sullo Stato un controllo tale che la delimitazione tra queste due nozioni non è netta, e questo controllo si estende, inoltre, a tutti gli aspetti della vita quotidiana della popolazione, ad un grado senza precedenti.
16. Il diritto d'associazione non esiste, il pluralismo politico è abolito e qualsiasi opposizione, come ogni tentativo d'organizzazione indipendente, sono rigorosamente represse. D'altra parte, la mobilizzazione di massa tramite il partito o delle sue organizzazioni satelliti è incoraggiata, ed a volte anche imposta.
17. Per garantire il loro dominio sulla sfera pubblica e prevenire ogni azione che sfugge al loro controllo, questi regimi sviluppano le forze di polizia ad un punto mai raggiunto, stabiliscono reti di informatori ed incoraggiano la delazione. L'ampiezza delle formazioni di polizia ed il numero di informatori segreti hanno subito variazioni secondo le epoche ed i paesi, ma hanno sempre superato di gran lunga le cifre degli stati democratici.
18. I mezzi di comunicazione di massa sono monopolizzati e/o sorvegliati dallo Stato. Una censura rigorosa preliminare è generalmente applicata. Di conseguenza, il diritto all'informazione è violato e non esiste una stampa libera.
19. La nazionalizzazione dell'economia, caratteristica permanente del comunismo direttamente legato alla sua ideologia, impone restrizioni alla proprietà privata ed all'attività economica individuale. Pertanto, i cittadini sono più vulnerabili riguardo allo Stato che ha il monopolio dell'occupazione e rappresenta la sola fonte possibile di redditi.
20. Il sistema di potere comunista è durato oltre ottanta anni nel paese in cui è nato, la Russia ribattezzata Unione Sovietica. Negli altri paesi europei, la sua durata è stata di circa quarantacinque anni. Fuori dell'Europa i partiti comunisti sono al potere da oltre cinquanta anni in Cina, nella Corea del Nord ed in Vietnam, da oltre quaranta anni a Cuba e da trenta anni in Laos. Molti stati dell'Africa, dell’Asia e del Sudamerica, allora sotto l’influenza sovietica hanno avuto per un certo tempo dei governi comunisti.
21. Più di venti paesi, su quattro continenti, possono dire di essere stati comunisti o sotto regime comunista per un certo periodo. Oltre all'Unione sovietica ed i suoi sei satelliti europei, l'elenco comprende l'Afghanistan, l'Albania, l'Angola, il Benin, la Cambogia (Kampuchea), la Cina, il Congo, Cuba, l'Etiopia, la Corea del Nord, il Laos, la Mongolia, il Mozambico, il Vietnam, lo Yemen del Sud e la Jugoslavia.
22. Prima del 1989 il numero di persone che vivevano sotto un regime comunista toccava più di uno miliardo.
23. La loro longevità e la loro espansione geografica hanno comportato differenze e modifiche nelle pratiche di questi regimi in funzione dei paesi, delle culture e delle epoche. I regimi comunisti si sono evoluti, sotto l'effetto della loro dinamica interna o in reazione alla situazione internazionale. È difficile comparare i governi comunisti con il potere nella Russia del 1930, l'Ungheria del 1960 o la Polonia del 1980.
24. Tuttavia, nonostante questa diversità, si possono senza dubbio individuare caratteristiche comuni ai regimi comunisti storici, indipendentemente dal paese, la cultura o il periodo. Una delle più manifeste di queste caratteristiche è la violazione ovvia dei diritti dell'uomo.

Editoriale Eleutherìa

E’ per me un grande piacere presentare il primo numero di Eleutherìa, rivista del gruppo Studenti per le libertà. In questi primi mesi di fervente attività, il nostro gruppo ha avuto occasione di conoscersi e farsi conoscere. Si è discusso, tanto, di politica, a livello locale, come nazionale ed internazionale; di cultura, di economia, di sport come momento di aggregazione. E’ nostra intenzione portare su carta stampata almeno parte di queste nostre discussioni e del nostro pensiero attraverso articoli suddivisi in otto rubriche (oltre all’editoriale, le rubriche mondo università; politica interna; politica estera; economia e finanza; cultura; sport; l’angolo polemico).

Ci definiamo liberali e di centrodestra, amanti della libertà in tutte le sue forme e sempre disposti al dialogo, nel segno della reciprocità. Siamo fieri della nostra italianità e riteniamo che la democrazia liberale sia il miglior metodo di governo. Guardiamo all’Europa con fiducia e realismo, ritenendo che l’Occidente sia uno solo e che il mondo potrebbe essere migliore se tutti conoscessero il vero significato della libertà e la mettessero in pratica. I nostri propositi, le nostre idee, potrebbero dirsi “moderate”: non nel senso del non stare né da una parte, né dall’altra, o di non avere idee proprie; ma nel rifiuto di ogni estremismo e posizione preconcetta.

Ciò nonostante, è dai tempi di Enrico Berlinguer, guru della sinistra italiana (che da allora non ha avuto un leader della sua statura) che non essere di sinistra significa essere diversi.
Nella famosa intervista a Scalfari dell’81, Berlinguer parlava infatti dei mali che affliggevano il sistema politico italiano, ad eccezione (a suo parere) del Partito Comunista Italiano: “I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela. […] Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, […] senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello: […] sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. […] I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RaiTv, alcuni grandi giornali. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene giudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi”.

Rileggere oggi le parole dell’ex segretario del PCI fa un certo effetto. Sembrano una requisitoria contro il partito di Fassino, i Democratici di Sinistra, che del PCI sono i fieri eredi.
E’ così: per 50 anni la sinistra si è infiltrata in tutti i gangli della cultura e dell’informazione, mentre la DC, dimentica delle origini sturziane e degasperiane, a parte pochi esempi di limpidezza e moralità (ci riferiamo in particolare al presidente emerito Cossiga), annaspava nel suo ambiguo rapporto tra politica e malavita. In realtà la sinistra non è stata da meno; e se ha saputo scampare il pericolo Mani Pulite (il nostro garantismo ci fa fidare -ma non troppo- delle sentenze dei giudici), oggi, alla luce dell’ennesimo scandalo finanziario e dei reiterati sospetti di connivenza con la criminalità di molte amministrazioni locali di sinistra, ci sembra che sia la fazione politica meno adatta a parlare di questione morale.

Basti citare ad esempio che il 90% dei consigli comunali del napoletano (gran parte dei quali in mano ai DS) sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e amenità simili, e decine di consigli comunali sono stati sciolti dal Viminale nei mesi scorsi. Il clientelismo è un male diffuso nella politica, e i fatti dimostrano che ciò è vero soprattutto per la sinistra; la quale certamente dispone di più cattedre universitarie, professori di scuole superiori, direttori di banche e giornali e amministratori locali di quanti ne disponga il centrodestra. Insomma, questa questione morale ci sembra una chimera che si rivolta contro i propri stessi assertori!

Eppure, Achille Occhetto, non nuovo a risurrezioni politiche, insisteva nel marzo 2004 da Ferrara: “Voi appartenete ad un’umanità moralmente inferiore rispetto ai pacifisti”; ergo, esistono almeno due umanità: una “superiore” ed una “inferiore”. Ecco il vero clash of civilizations!

Per Gino Strada, altro paladino della sinistra, “chi non vota no alla proroga della missione italiana in Iraq è un delinquente politico”; manco a dirlo, noi stiamo dalla parte di chi ha votato sì. Certo, ci sarebbe piaciuto che il presidente Bush avesse ascoltato il consiglio dell’alleato italiano di perseguire nella diplomazia; ma, una volta scelto di andare in guerra (per motivazioni almeno tanto ideali quanto d’interesse), l’unica via possibile per l’Italia era quella della fedeltà allo storico alleato, perpetrata attraverso l’invio di truppe di pace (a guerra conclusa) incaricate della ricostruzione e della sicurezza nei territori di competenza. Ricordiamo che il governo D’Alema (giustamente, ma illecitamente dal punto di vista del diritto internazionale convenzionale) nel 1999 partecipò al bombardamento del Kosovo, senza avallo dell’ONU; oggi, la partecipazione ad un post-guerra (che in effetti ci ha visti partecipare su richiesta dell’ONU) è invece dipinta come “la-guerra-che-Berlusconi-ha-fatto-per-leccare-il-culo-a-quell’assassino-di-Bush”.
Sì, si tratta delle stesse persone che votano per questa sinistra e che berciano cori irripetibili sulla morte dei nostri carabinieri, martiri di pace a Nassiryia. La situazione paradossale è che per mesi chi blaterava “ritiriamo le nostre truppe dall’Iraq” o parlava di “occupazione avversata dai resistenti” ha goduto di gran credito presso i media italiani.

Oggi questo atteggiamento è reso ancora più colpevole dalle violente contestazioni in tutto il mondo musulmano per la pubblicazione di alcune vignette satiriche sulla religione islamica e Maometto.

Ci duole costatare (anche se molti fingono di non saperlo) come ormai sia possibile insultare solo Gesù e la religione cattolica: a titolo di esempio, si guardino le vignette di Vauro sul Nazifesto, o quelle di islamici che dipingono il papa come un suino, o le affermazioni deliranti di tale Adel Smith, noto per aver definito la Chiesa una “associazione a delinquere” e il Crocifisso un “cadaverino in miniatura”. (!)

Il doppiopesismo dimostrato dalla sinistra italiana ed europea nel condannare le vignette dell’ininfluente giornale danese e nell’ignorare tutto il resto è disarmante. Così come ha dell’incredibile il licenziamento del direttore di France Soir ad opera dell’editore, ed è inaccettabile la timidezza dei governanti occidentali nel condannare le violenze contro le proprie ambasciate e i propri simboli. Bruciare una bandiera nazionale è una caratteristica che accomuna islamici e sinistri (aggiungiamo “estremisti” a entrambi i termini, per carità!)

Tutto questo ci sembra un inevitabile segno della pericolosità del relativismo, della dottrina secondo cui un’idea, una cultura, una religione valgono l’altra. Di quella forma mentis secondo cui è un delitto parlare di migliore e di peggiore, categorie riportabili sotto il termine “differente”, specchio della political correctness. Ebbene, noi riteniamo che nel valutare il mondo che ci circonda non sia possibile derogare ai valori fondamentali della vita, della libertà, del rispetto della persona. Una civiltà basata sull’odio nei confronti dell’altro e soprattutto sulla negazione di questi valori è certamente peggiore di una che, pur fra mille contraddizioni, su questi valori si basa.

Certo, le culture non si caratterizzano come blocchi monolitici. Ma gli episodi di violenza (trascurando quelli terroristici) scatenati dall’applicazione dei più banali diritti di libertà, quelli di pensiero e di stampa, perpetrati in molti paesi musulmani, certificano che c’è molto da cambiare nella mentalità di quei popoli.
Un mondo migliore è possibile. Ma come? La maggior parte dei bambini africani andrà a letto affamata ogni notte del 2006, ma gli sforzi comuni degli scorsi anni per la riduzione del debito dei paesi poveri e per gli aiuti allo sviluppo lascia ben sperare. La tecnologia, in particolare quella a basso costo concepita per diffondere il benessere nei paesi poveri, inizierà ad essere più largamente fruibile. Un esempio: da quest’anno nei paesi in via di sviluppo faranno la loro apparizione il computer portatile da 100 dollari, il cellulare da 20 dollari e una serie di trattamenti per le malattie, accompagnati dalla promessa di maggiori fondi per la ricerca e lo sviluppo.
L’India raggiungerà la Cina nel novero delle nuove potenze economiche emergenti; New Orleans verrà ricostruita e l’Europa mostrerà un nuovo realismo, come spiega il presidente della Commissione Barroso (a proposito, l’Italia è stata recentemente lodata da Bruxelles per la sua condotta…)

Questi interventi “a pioggia”, tuttavia, non risolveranno certo i problemi dell’umanità. Seguendo la visione italiana della politica estera, misto di realismo ed idealismo, e le teorie di studiosi come Natan Sharansky, non si può non guardare ad una Lega delle democrazie come soluzione vincente per la risoluzione dei problemi della comunità internazionale, e in particolare dei paesi del terzo e quarto mondo. Qui più che altrove la mancanza di democrazia implica una mancanza di libertà e un’impossibiltà di diffusione della ricchezza. Le ristrette élites di questi paesi detengono tutte le risorse politiche ed economiche, lasciando la popolazione nella povertà. Gli aiuti dall’estero spesso non portano a un miglioramento generale della situazione proprio per la voracità dei dittatori, che a volte chiedono legittimazione per mezzo di elezioni fittizie.

Nel recente editoriale intitolato The one thing Bush got right, il settimanale inglese The Economist ha sottolineato proprio come la missione di diffondere la democrazia sia la strada giusta per la risoluzione di molti problemi del mondo. Strada che gli Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno seguito negli ultimi anni, con l’impegno di continuare a lavorare in tal senso.

La storia dimostra che la principale caratteristica della democrazia - la libertà di eleggere e mandare a casa il proprio governo - non garantisce che i paesi che la adottano siano buoni vicini o facciano sempre le scelte giuste. L’amministrazione repubblicana, però, ha avuto degli innegabili meriti: ha deposto due regimi, quello dei talebani e quello di Saddam Hussein, ritenuti pericolosi e, invece di imporre delle forti personalità amiche, come fatto durante la guerra fredda, ha lasciato che afgani e iracheni decidessero liberamente per la prima volta il proprio governo.

L’Italia deve assolutamente porsi su questa scia, come fatto negli ultimi 5 anni, a dimostrazione che l’Occidente è uno solo e che la libertà e la democrazia sono gli obiettivi da perseguire.

Con la libertà personale, verrà per i paesi poveri la liberalizzazione di mercati e servizi. Anche in Europa, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale, è questa la ricetta da seguire. La liberalizzazione, portando maggior concorrenza, è una risposta semplice ed efficace agli utopismi statalisti della sinistra. Berlusconi ha avuto il merito, tra l’altro, di affievolire in Italia la logica dell’assistenzialismo, dello stato sociale pesante, contrapponendovi la cultura della libera iniziativa, che la storia dimostra vincente sulle utopie comuniste e su quelle keynesiane.

Avendo dinanzi a noi gli esempi di Margaret Thatcher, Ronald Reagan, e più recentemente Silvio Berlusconi e Tony Blair, non possiamo non desiderare uno stato ispirato dal liberalismo, e in cui trovi sempre meno spazio l’inutile burocrazia.

Noi abbiamo un sogno, realizzabile: che la libertà in ogni sua forma prevalga sulle imposizioni di Stato, Religione, Politica, Economia, Utopia, ed è per questo che spingiamo per il trionfo di democrazia, libertà e liberalismo in ogni parte del globo.

Milan International Model United Nations (MILMUN)

Nel maggio prossimo Milano ospiterà la prima edizione del Milan International Model United Nations (MILMUN), simulazione delle attività dell’ONU a livello accademico.
Tale evento internazionale, organizzato da un team di studenti di Università Bocconi e Cattolica, è stato reso possibile grazie alla collaborazione della stessa Università Bocconi, dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e del Comune di Milano.
Ciascuno studente selezionato rappresenterà uno Stato diverso da quello di origine e dovrà rifarsi, nel modo più fedele possibile, alla politica e agli interessi dello Stato stesso. Questo tipo di workshop fu organizzato per la prima volta nel 1953 dall’Università di Harvard per i propri studenti, e a tutt’oggi si svolge in centinaia di atenei sparsi per il mondo. Il nostro progetto ha lo scopo di promuovere e diffondere il Model United Nations in Italia, assieme ai valori e agli obiettivi di cooperazione e solidarietà che sottende.
Dal 7 al 12 maggio, gli 87 delegati e 6 giornalisti, accompagnati da un team di 8 chairs e 10 membri dello staff, daranno vita a una sei giorni di dibattiti, in una fedele riproduzione delle attività del Consiglio di Sicurezza (SC), del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e della Commissione sui Diritti Umani (UNHRC).
Le attività si terranno nella splendida cornice di Palazzo Clerici, messo a disposizione dall’ISPI.
Accanto alle discussioni tra studenti, su temi precedentemente assegnati, sono previste conferenze tenute da esperti dei vari workshops, oltre che una opening e una closing ceremony in Bocconi, che vedranno la partecipazione, tra gli altri, del responsabile ONU in Iraq, Kishore Mandhyan.
Le linee guida del progetto sono consultabili sul sito internet
www.milmun.org, dove si trova una lista con gli indirizzi email cui rivolgersi per ogni particolare richiesta e per l’eventuale domanda di partecipazione.
Lingua ufficiale della simulazione sarà l’inglese, la cui ottima conoscenza è il requisito base per l’invio dell’application.
Si tratta di una buona opportunità per tutti gli studenti italiani di vivere un’esperienza internazionale, conoscere giovani di diverse culture, poter dialogare con loro per giungere ad accordi diplomatici, il tutto non muovendosi da Milano e partecipando alle varie e indimenticabili serate organizzate dallo staff eventi!
La serata italiana, la clubbing night, la serata di gala saranno delle occasioni in più per i delegati per socializzare e tessere rapporti diplomatici in modo da giungere ad una buona conclusione dei lavori.
Sarà questo il metodo di lavoro degli aspiranti diplomatici, che sono chiamati a dare esempio di flessibilità pur in una cornice di realismo, in modo da poter suggerire col proprio esempio la via da seguire per la risoluzione dei maggiori conflitti internazionali.
Muners of the world unite in Milan, vi aspettiamo!

Candidature dell'Unione

Il disobbediente Francesco Caruso, candidato di Rifondazione comunista alla Camera, è un latifondista milionario. Lui, che agli elettori promette l'esproprio delle seconde case, è proprietario di uliveti, vigneti, terre da agrumi, terreni da pascolo e immobili, sparsi tra vari comuni in provincia di Cosenza, frutto del generoso lascito di uno zio.
La visura catastale su terreni e fabbricati intestati al leader dei no global meridionali Francesco Saverio Caruso, è lunga sette pagine. Nei comuni calabresi di Longobucco, Calopezzati, Corigliano Calabro, nel Cosentino, il giovane no global è un padrone a cui dare del voi. Ha proprietà, immobili e terre, per un valore enorme. Sei appezzamenti tra terreni da pascolo e uliveti in località Calopezzati. Una frazione di un vasto agrumeto a Corigliano Calabro, metà proprietà di due terreni da 15 e 9 ettari a Longobucco, dove possiede anche una frazione di due appartamenti di 5 locali. Nella sua rendita catastale figurano poi altri 35 terreni (vigneti, uliveti e pascoli) sempre a Longobucco. Tra cui un uliveto di 54 ettari e un altro di 60, un querceto di 22 ettari, un frutteto di 38 ettari, poi pascoli e campi a perdita d'occhio. Nel complesso, una proprietà da latifondista coi fiocchi.
Ma anche da papà e mamma non è mancato nulla al giovane Francesco, antagonista cresciuto negli agi della ricca famiglia beneventana prima di trasferirsi nell'Officina 99 e nel centro sociale Ska di Napoli, dopo l'università a Bologna, la laurea all'Istituto universitario Orientale di Napoli e la scoperta del mondo dei centri sociali. Con i genitori e il fratello ha vissuto per anni, fino alla fine del liceo, in un superattico di 350 mq nel centro storico di Benevento, nella lussuosa via Calambra. Appartamento in cui la famiglia Caruso stava in affitto, con un canone di favore. Proprietaria dell'immobile erano infatti le Ferrovie dello Stato, di cui il padre era - oggi è in pensione - un dirigente, chiamato a Benevento dalla sua Calabria per realizzare un importante intervento infrastrutturale sulla rete della città campana. E forse il contrappasso, la carriere edipica di Francesco, comincia proprio così, dal padre. Ingegnere capo delle Fs, governatore regionale dei Rotary, fu proprio lui a progettare le infrastrutture dell'Alta velocità a Benevento, un viadotto e il tunnel ferroviario, opera che oggi permette di viaggiare in eurostar da Benevento a Foggia in poco più di un'ora. Strano pedigree per il movimentista che blocca i binari, sabota i cantieri e promette battaglia agli alleati che tentennano sul no alla Tav. «Quando ero piccolo mio padre mi diceva: se vai alla manifestazione ti rifilo due ceffoni. E io col cavolo che ci andavo». Per diventare ribelle Francesco ha aspettato la maturità. Adesso può vantarsi di avere 12 avvocati per le sue 29 cause giudiziarie aperte. Al Rotary ha preferito il Chiapas, ma alle proprietà non ha rinunciato.
Qualcuno dica a Bertinotti che il curriculum del suo capolista in Calabria sembra uscito dai registri di uno yacht club di Montecarlo. O forse il leader già lo sa, perchè non è così nuovo il caso di un antagonista che sotto il materasso nasconde un patrimonio da ricco borghese. Ma Caruso li supera tutti, e anche in questo è un no global sui generis: l'unico che partecipa ai cortei in bicicletta per non faticare, e che a Seattle, dopo un assalto al McDonald's interrogato dalla Cnn sui motivi della protesta così rispondeva: «Nun lo saccio, chillo panino è bbuono assai». Ma lo conoscono meglio a Benevento, dove le malelingue stavolta aggiungono: «Tanto se gli va male in politica, i soldi per arrivare a fine mese non gli mancano di certo». Per lui, San Precario non ha bisogno di preghiere.

"Siamo per la rivendicazione del diritto alla sollevazione popolare irachena contro le nostre truppe. Nassyria, in cui ci sono stati nostri caduti, rientrano in tutto e per tutto nelle responsabilità d'una missione militare al servizio dell'Eni.."
"Questa è RESISTENZA... Noi siamo con loro". Lo dice Marco Ferrando, di Rifondazione Comunista. "C'é - dice in un'intervista al CORRIERE DELLA SERA - un diritto sacrosanto all'autodeterminazione e a resistere a forze d'occupazione militare che stanno lì per interessi colonialistici. (...) La lotta armata contro l'occupazione militare è giusta".

Certo che Rifondazione, ha proprio candidati DOC... Trans... Black Block... Fans degli assassini dei NOSTRI SOLDATI in IRAQ...

Se vincerà Prodi...chi sarà la prossima "Ministra" per le pari Opportunità... ...Vladimir Luxuria?

Five more years - Editoriale da Il Foglio

Non sarà risolutivo, ché jokes e mattane contano di più, e di più ancora i dati ineccepibili di Luca Ricolfi sul Contratto con gli italiani, e ancora di più la tristezza degli avversari, ma l'appoggio di Bush a Berlusconi non poteva essere più esplicito, perfino imbarazzante per gli usi della diplomazia occidentale. E' un amico che mi tira su il morale, ha detto del premier il presidente americano, e ha dato stabilità all'Italia perché è un uomo di principi che mantiene la parola data, è un ottimista e un volenteroso di natura. Alla domanda maliziosa su un'eventuale vittoria degli avversari di Berlusconi il 9 aprile, mentre il Cav. pronto e furbo gli suggeriva teatralmente il "no comment", Bush ha opposto il più eloquente dei sorrisi.
Per essere una festa d'addio, come ha detto rosicando il professor Prodi, non aveva niente di malinconico. Tutt'altro. Il leader dell'Unione avrebbe fatto meglio a unirsi all'applauso bipartisan, considerando indivisi il patrimonio di credibilità italiano a Washington e l'amicizia leale italiana con l'America, come avrebbe fatto anche il più scialbo degli statisti. Quando il centrosinistra era al governo, la gara a comparire con Bill Clinton era fervorosa, in nome della terza via ciascuno dei capi della sinistra aveva una sua corrente o fondazione o missione o visione da affidare alle capaci mani del leader del centrosinistra mondiale, in Inghilterra i premier socialisti e democratici si stringevano la mano e cantavano in coro "All we need is love" mentre tuonavano i bombardamenti su Belgrado, e sono indimenticabili le immagini di D'Alema con le stellette di generale della Nato nel cinquantennale dell'alleanza.
Poi in patria si facevano i distinguo, si teneva buona la base riottosa, si inscenava la farsa dell'indipendenza nazionale e si gettavano le basi franco-tedesche per la gestione piatta e burocratica dell'Europa Goldman Sachs, sotto Prodi. Il nostro Churchill nazionale è stato più sobrio, ha, evocato i valori del lavoro e dello sport, che per la verità non sono poca cosa, e pacca oggi pacca domani è riuscito a scardinare lo spirito multipolare e antiamericano dell'Europa di Chirac e di Schróder, si è infilato senza danni eccessivi nella rischiosa avventura irachena e ha saputo anche uscirne con i complimenti di tutti, ha rimediato una buona commessa per l'Agusta, sezione elicotteri, e soprattutto una scia di amichevole simpatia che ci riguarda tutti.

Berlusconi for president

Il testo integrale dello storico discorso del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Congresso americano, interrotto 18 volte da applausi e varie standing ovations. Tutti, democratici e repubblicani, hanno apprezzato il discorso del nostro presidente. Il contenuto nobile ed orgoglioso entrerà nella storia, mentre le polemiche faziose dell'opposizione cadranno nel più ignobile oblio.


Grazie a Daw per l'immagine e il video del discorso.
«Signor Presidente, Signor Vice Presidente alla Camera dei rappresentanti, Signori membri del Congresso, è per me uno straordinario onore essere stato invitato a pronunciare questo discorso nel luogo che è uno dei massimi templi della democrazia. Parlo in rappresentanza ed a nome di un Paese che nei confronti degli Stati Uniti d’America ha un’amicizia profonda, che agli Stati Uniti si sente legato da vincoli plurisecolari.
Una parte importante dei cittadini americani ha origini italiane. Per loro l’America è stata una terra di opportunità che li ha accolti generosamente ed essi hanno contribuito con il loro ingegno e con il loro lavoro a rendere grande l’America. E sono orgoglioso di vedere quanti cittadini di origine italiana sono oggi membri del Parlamento della più grande democrazia del mondo.Per la generazione di italiani alla quale appartengo gli Stati Uniti rappresentano il faro della libertà e del progresso civile ed economico.
Sarò sempre grato agli Stati Uniti per aver salvato il mio Paese dal fascismo e dal nazismo a costo del sacrificio di tante giovani vite americane. Sarò sempre grato agli Stati Uniti perchè nei lunghi decenni della guerra fredda hanno difeso l’Europa dalla minaccia dell’Unione Sovietica. Impegnando ingenti quantità di uomini e di mezzi finanziari in questa battaglia vittoriosa contro il comunismo gli Stati Uniti permisero a noi europei di destinare risorse preziose alla ripresa e allo sviluppo della nostra economia.
Sarò sempre grato agli Stati Uniti per aver aiutato il mio Paese a vincere la povertà ed a conseguire crescita e prosperità dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie alla generosità del Piano Marshall.
Ed oggi sono ancora grato agli Stati Uniti che continuano a pagare un alto prezzo in termini di vite umane nella lotta contro il terrorismo, per la sicurezza comune e per la difesa dei diritti umani in tutto il mondo.
Quando guardo la vostra bandiera, non mi stancherò mai di ripeterlo, non vedo soltanto la bandiera di una grande democrazia e di un grande Paese, ma vedo soprattutto un simbolo, un messaggio universale di democrazia e libertà.
Signor Presidente, questi sentimenti hanno ispirato tutta la mia attività politica e l’azione dei governi che ho avuto l’onore di guidare.

Gli Stati Uniti hanno sempre potuto contare su un alleato solido e leale, pronto ad assumersi la responsabilità di essere al vostro fianco per la difesa della libertà. Lo abbiamo dimostrato dovunque l’impegno concreto dell’Italia sia stato necessario. Ne siamo profondamente orgogliosi.
Sono 40.000 i militari italiani destinati esclusivamente alle missioni di pace.
In Afghanistan abbiamo ora il comando della missione ISAF della Nato.
In Iraq siamo impegnati in compiti di pacificazione e di costruzione della democrazia.
Nei Balcani abbiamo assunto il comando delle missioni in Kossovo e in Bosnia Erzegovina.
E siamo anche in Medio Oriente, in Sudan ed in altre parti del mondo, là dove si sono aperte delle ferite che occorre sanare.
Signor Presidente, prima degli atroci attentati dell’11 settembre i Paesi occidentali vivevano nella certezza della propria sicurezza. Vivevano nella certezza che nulla, dopo il crollo del Muro di Berlino, avrebbe potuto interferire con la loro vita civile e democratica.
Nel 2001, appena insediato il mio secondo governo, mi trovai a presiedere il vertice G8 di Genova.
Terminati i lavori previsti dall’agenda del Vertice, la cena conclusiva divenne una cena tra amici.
Io mi tirai un po’ indietro dal tavolo quasi come un osservatore esterno, per godermi il dialogo cordiale che si svolgeva tra i leader dei più grandi Paesi industrializzati del mondo.
Il Presidente Bush conversava amabilmente con il Premier giapponese Junichiro Koizumi. Pearl Harbour e Hiroshima erano definitivamente lontani. Il Primo Ministro Blair scherzava con il Cancelliere Schroeder. E poi ancora il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin si intratteneva amichevolmente con il Presidente Bush.
La tragedia della seconda guerra mondiale e la guerra fredda, durata così tanti anni, erano lontane e dimenticate. Io provai, dentro di me, una grande felicità. Pensai che il mondo era davvero cambiato e come era diverso e in pace il mondo che consegnavamo ai nostri figli. Per loro si era aperta una nuova epoca di pace duratura.
E invece pochi mesi dopo accadde l’impensabile.
L’11 settembre ha segnato l’inizio di una guerra completamente diversa rispetto a quelle che hanno insanguinato l’umanità nei secoli passati. Non un conflitto tra Stati, non uno scontro di civiltà, poiché non si tratta di un attacco dell’Islam all’Occidente. L’Islam moderato alleato delle democrazie occidentali è anch’esso nel mirino dei terroristi. Si tratta di un attacco da parte del fondamentalismo radicale che usa il terrorismo contro l’avanzare della democrazia nel mondo e contro il dialogo tra le civiltà.
Le democrazie occidentali si trovano di fronte all’attacco di organizzazioni fanatiche che colpiscono persone inermi e minacciano i valori fondamentali su cui si fonda la nostra civiltà.
I governi democratici devono adempiere ad un compito enorme: difendere la sicurezza dei loro cittadini e garantire la loro “libertà dalla paura”.
Questa è la nuova frontiera della libertà.
Signor Presidente, io sono profondamente convinto che per difendere questa frontiera oltre al generoso impegno del vostro grande Paese, sia necessaria una grande alleanza di tutte le democrazie.
Io credo che solo unendo gli sforzi delle democrazie di tutti i continenti riusciremo a liberare il mondo dal pericolo del terrorismo internazionale e dalla paura dell’aggressione da parte delle forze del male.
La battaglia per la libertà dalla paura non è una battaglia a vantaggio soltanto dei cittadini dei Paesi che già vivono nella democrazia. E’ soprattutto una battaglia a vantaggio di quanti oggi vivono sotto regimi autoritari e illiberali.
La storia ha dimostrato che l’aspirazione alla democrazia è universale e che libertà e democrazia sono positivamente contagiose. Quando i popoli sono esposti al vento della democrazia essi inevitabilmente rivendicano i propri diritti di libertà nei confronti dei loro governanti. Voi lo sapete bene perché il vostro Paese è il principale promotore di questo vento di libertà.
Ma c’è un altro motivo non meno importante per cui si impone una strategia comune da parte di tutte le democrazie.
Le previsioni delle Nazioni Unite ci dicono che nei prossimi 25 anni avremo un ulteriore aumento della popolazione di 2 miliardi di persone, ma saranno 2 miliardi di persone che in massima parte nasceranno e si troveranno a vivere in Paesi che oggi sono esclusi dal benessere.
Da una parte ci saranno quindi 6 miliardi di esseri umani che vivranno in condizioni di povertà e dall’altra parte meno di 2 miliardi di uomini che vivranno nel benessere. Si svilupperà inevitabilmente una fortissima pressione migratoria.
Per evitare che questo avvenga e ancor di più, che la fame e la disperazione possano generare odio ed essere strumentalizzate dal fondamentalismo non c’è altra soluzione che quella di far uscire questi Paesi dalla miseria e avviarli verso il benessere. E’ un nostro dovere morale ma è anche un nostro interesse vitale. Questo sarà possibile soltanto diffondendo e facendo crescere la democrazia. Tutti i nostri sforzi devono quindi essere indirizzati a far crescere in questi Paesi istituzioni che garantiscano il buon governo, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e un’economia di libero mercato. Solo con la democrazia infatti si può avere la libertà. E solo la libertà garantisce che gli individui possano sviluppare i propri talenti, possano mettere a frutto le loro energie, possano realizzarsi e conquistare il benessere.
Non c’è quindi davanti a noi nessun’altra strada possibile se non quella di impegnarci tutti insieme, per diffondere la democrazia nel mondo.

Il governo da me guidato ha sempre operato con tenacia per una grande alleanza di tutte le democrazie. Ed è per questo che ho sostenuto con convinzione l’iniziativa del Presidente Bush di istituire un Fondo per la democrazia in seno alle Nazioni Unite.
Per queste ragioni, lo ripeto, sono convinto che lo sforzo che ci attende da qui in avanti è quello di promuovere in tutti i Paesi la cultura dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali.
Signor Presidente, per condurre vittoriosamente questa missione è necessario innanzitutto che i legami tra Unione Europea e Stati Uniti, tra le due sponde dell’Atlantico, si mantengano forti e solidi.
Proprio perché persuaso di questa esigenza mi sono impegnato in una decisa e continua azione diplomatica e politica nei confronti dei miei colleghi europei affinchè, in occasione della vicenda irachena, l’Unione Europea non indebolisse i suoi legami con gli Stati Uniti d’America.
Per lo stesso motivo non possiamo ignorare il pericolo che l'identità dell'Europa unita si definisca in contrapposizione all’America. La necessaria integrazione politica ed istituzionale dell’Europa non deve significare una “Fortezza Europa”, chiusa al mondo nell’illusione di conservare così il proprio benessere e la propria libertà.
Una concezione dell’unità europea improntata ad una velleitaria autosufficienza sarebbe moralmente sospetta e politicamente pericolosa.
Una divaricazione o peggio una contrapposizione tra gli Stati Uniti e l’Europa non avrebbe alcuna giustificazione e comprometterebbe la sicurezza e la prosperità del mondo intero.
L’Occidente è e deve restare uno solo: non ci possono essere due Occidenti. L’Europa ha bisogno dell’America e l’America ha bisogno dell’Europa. Questo è vero sul piano politico, sul piano economico e sul piano militare.E’ quindi assolutamente necessario, anzi è fondamentale sostenere e rinvigorire l’Alleanza Atlantica, l’alleanza che per più di mezzo secolo ci ha garantito la pace nella libertà.
Da “alleanza di difesa” la Nato sta progressivamente diventando un’organizzazione di sicurezza. Mentre le alleanze difensive sono esclusive, cioè create per proteggersi dalle minacce di altri blocchi, le organizzazioni che proteggono la sicurezza devono essere inclusive, perchè sono tanto più efficaci quanto maggiore è il numero dei Paesi che ad esse aderiscono.
E’ proprio per queste ragioni che mi sono battuto affinchè si desse vita al Consiglio NATO-Russia coinvolgendo la Federazione Russa nell’architettura di sicurezza del mondo libero.
Sono orgoglioso di aver lavorato insieme al Presidente Bush e al Presidente Putin affinché questo avvenisse e affinché questa storica decisione che confermò definitivamente l’adesione della Federazione Russa all’Occidente ed ai suoi valori trovasse poi consacrazione proprio in Italia, allo storico Vertice di Pratica di Mare.
Quel giorno del 2002 ha segnato la fine dell’incubo dell’annientamento reciproco di due blocchi armati e contrapposti, un incubo durato più di mezzo secolo.
La NATO deve quindi restare lo strumento fondamentale per garantire la nostra sicurezza.
Per questo le nuove capacità di Difesa Europea devono essere complementari a quelle della NATO. Insieme, NATO ed Unione Europea devono essere gli strumenti della democrazia per garantire la sicurezza nel mondo ormai globalizzato. Mi sono sempre adoperato per conseguire questo obiettivo che considero strategico e continuerò a farlo. In tale quadro le Nazioni Unite dovranno recuperare un ruolo centrale grazie ad un processo di riforme che le rendano più efficienti per rispondere alle nuove sfide del millennio.Signor Presidente, i nostri valori di democrazia e di libertà hanno condotto l’Occidente ad assicurare ai nostri popoli una prosperità che non ha eguali nella storia dell’umanità.
La storia ha dimostrato che soltanto la democrazia consente una solida economia di mercato perché libertà politica e libertà economica sono due facce della stessa medaglia.
Siamo tuttavia consapevoli che vi sono Paesi del mondo che si stanno aprendo all'economia di mercato, ma nei quali non vi è ancora né autentica democrazia, né un sufficiente rispetto dei diritti dell'uomo. Questo impone ai Paesi più sviluppati e democratici di operare con determinazione affinché ovunque l'apertura al libero mercato si accompagni alla crescita delle istituzioni democratiche e al rispetto dei diritti dell'uomo.
L’economia di mercato è sempre un motore formidabile per favorire la trasformazione dei Paesi con regimi autocratici od autoritari in vere e proprie democrazie.

L’azione per l’espansione dell’economia di mercato nel mondo è quindi una parte essenziale dell’azione per l’affermazione dei nostri valori, per l’affermazione della libertà, per un mondo più sicuro, più solidale e più prospero.
Signor Presidente, Signor Vice Presidente, Signori membri del Congresso, i legami tra il popolo americano ed il popolo italiano hanno radici lontane e profonde. Sono sicuro che continueranno a rafforzarsi, e che gli Stati Uniti troveranno sempre nell’Italia una nazione con la quale condividere la medesima visione del mondo.
Vorrei concludere ricordando una breve storia.
La storia di un ragazzo che alla fine dei suoi studi liceali fu portato dal padre a visitare il cimitero in cui riposano molti giovani valorosi soldati, giovani che avevano attraversato l’Oceano per ridare dignità e libertà ad un popolo oppresso. Nel mostrargli quelle croci, quel padre fece giurare a quel ragazzo che non avrebbe mai dimenticato il supremo sacrificio con cui quei soldati americani avevano difeso la sua libertà. Gli fece giurare che avrebbe serbato per il loro Paese eterna gratitudine. Quel padre era mio padre, quel ragazzo ero io. Quel sacrificio e quel giuramento non li ho mai dimenticati e non li dimenticherò mai. Vi ringrazio».

Non lo si può preferire a Berlusconi...

Riesumiamo un po' di scheletri dall'armadio di Prodi... Un personaggio che ha finanziato un dittatore sanguinario, ha alzato le tasse a tutti gli italiani inventandone di nuove, si atteggia a professore pur avendo una capacità dialettica pari a zero e che conosceva il luogo esatto in cui venne ritrovato assassinato Aldo Moro.

Il Caso Moro e le sedute spiritiche di R. Prodi - di G.Neri

ANTEFATTO: Il 3 aprile 1978, nel corso di una seduta spiritica a cui partecipa il futuro presidente dell’Iri, Romano Prodi, una entità [nella fattispecie, e come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira, n.d.r] avrebbe indicato Gradoli come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. E la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle.In seguito alla seduta il professor Prodi si reca a Roma - solo due giorni dopo, il 4 aprile -, per trasmettere l’indicazione ad Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell’on. Benigno Zaccagnini. E la seconda volta che viene fuori il nome Gradoli. La prima fu una manciata di giorni prima. Il 18 marzo, alle 9 e 30 del mattino, gli agenti del commissariato Flaminio Nuovo si presentano al terzo piano della palazzina al numero 96 di via Gradoli, una stradina residenziale sulla via Cassia. Una soffiata molto precisa, forse proveniente da ambienti vicini ai servizi segreti, ha segnalato che lì, all’interno 11, cè un covo delle Br. Gli agenti bussano alla fragile porta di legno, ma nessuna risponde. Apre invece l’inquilina dell’interno 9, Lucia Mokbel, e racconta di aver sentito provenire dall’appartamento sospetto dei ticchettii simili a segnali Morse. Secondo le disposizioni vigenti i poliziotti dovrebbero a quel punto sfondare la porta, o quantomeno piantonare il palazzo. Invece vanno via. Al processo Moro presenteranno un rapporto di servizio grossolanamente falso, costruito a posteriori, stando al quale i vicini avrebbero fornito rassicurazioni sull’onestà dell’inquilino dell’interno 11, il ragionier Borghi, alias Mario Moretti. Saranno sbugiardati pubblicamente, ma mai puniti.Il 18 aprile la porta dietro cui forse era stato nascosto, fino a qualche giorno prima, lo stesso Aldo Moro, viene finalmente sfondata. Non da polizia e carabinieri però, ma da pompieri; che ci arrivano a causa di un allagamento. Anche se i brigatisti lo hanno sempre negato, si tratta di una messinscena organizzata perché il covo venga scoperto: il telefono della doccia è sorretto da una scopa e puntato contro una fessura nel muro aperta con uno scalpello in modo da far filtrare meglio l’acqua lungo i muri fino all’appartamento dei vicini, che infatti daranno l’allarme.L’allagamento si verifica lo stesso giorno in cui un falso comunicato delle Br spedisce migliaia di carabinieri e poliziotti a cercare il cadavere di Moro nel lago gelato della Duchessa. Si tratta di due episodi di difficile lettura. Alcuni brigatisti del gruppo dirigente dichiareranno, molti anni dopo, che la scoperta del covo e il falso comunicato li spinsero ad affrettare i tempi dell’operazione Moro verso la decisione di sopprimere l’ostaggio; proprio come voleva Moretti, rappresentato della cosiddetta "ala dura" delle Br. Il 10 giugno 1981 Romano Prodi viene chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro per rispondere degli avvenimenti che sarebbero occorsi durante la seduta spiritica. Il caso viene riaperto nel 1998 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, al fine di chiarire le motivazioni che avrebbero portato su un’altra pista le ricerche della prigione di Moro ed escludere che l’utilizzo del nome "Gradoli" fosse stato un modo per informare le stesse Brigate Rosse dell’avvicinamento delle forze di polizia all’omonima via, sita nei pressi della via Cassia di Roma. Il professor Prodi non si rende disponibile per essere ascoltato dalla Commissione parlamentare, contrariamente a Mario Baldassarri e Alberto Clò (ministro dell’Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna nella quale si svolsero i fatti), entrambi presenti alla seduta spiritica. Il 5 aprile 2004 Romano Prodi viene ascoltato come testimone dalla Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana. Secondo il presidente della commissione, Paolo Guzzanti, Prodi non ha avuto il coraggio di pronunciare le parole seduta spiritica, piattino o tazzina. Nel corso della seduta, l’On. Fragalà ha ricordato all’ex presidente dell’Iri un articolo del settimanale Avvenimenti, secondo il quale Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, agente del Kgb con nome in codice Dario, aveva ospitato Valerio Morucci e Adriana Faranda, brigatisti contrari al sequestro di Moro. Un’amica di Conforto, Luciana Bozzi, aveva affittato la casa di via Gradoli al commando delle Br. Secondo questa tesi, non commentata da Prodi, fu il Kgb a far sapere del covo di via Gradoli e la messinscena della seduta spiritica fu organizzata per coprire la vera fonte. Una seconda tesi, supportata tra l’altro dal senatore Francesco Cossiga - che riguardo al caso Moro ha sempre rilasciato dichiarazioni quantomeno ambigue -, identifica l’informatore in qualcuno appartenente all’area dell’eversione tra Autonomia Operaia e Potere Operaio. Dicono fosse un professore universitario. Va da sé che Paolo Guzzanti e Francesco Cossiga siano politicamente più inclini a fare passare la tesi dell’omicidio deciso e pilotato dai servizi segreti dell’Est, in contrapposizione all’altra ipotesi prevalente, ovvero che la segnalazione della parola Gradoli alle forze dell’ordine rappresentasse un doppio avvertimento a Mario Moretti, figura di terrorista controversa e più volte descritta come infiltrato vicino ai servizi segreti italiani. Il primo: che il covo di via Gradoli era ormai bruciato. Il secondo: che la questione doveva essere chiusa il più presto possibile con l’assassinio di Aldo Moro e il tramonto del progetto che voleva un Governo della non sfiducia, inviso agli Stati Uniti in quanto sorretto, tra gli altri, dal Partito Comunista.
(Fonti: S. Flamigni, M. Gambino, Il Caso Moro; Wikipedia; Christian Rocca, Il Foglio, 7/4/2004; Avvenimenti; Media Quotidiano)

Audizione di Romano Prodi presso la Commissione Moro - 10 giugno 1981

PRESIDENTE: Debbo richiamare la sua attenzione sul fatto che la Commissione assume le sue dichiarazioni in sede di testimonianza formale e sulle conseguenti responsabilità in cui ella può incorrere, anche in relazione al dovere della Commissione di comunicare all’Autorità giudiziaria eventuali dichiarazioni reticenti o false (?)
ROMANO PRODI: Ripeto quanto ho già scritto nella mia lettera. In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perchè sono tutte qui, si faceva il cosiddetto «gioco del piattino» (?) Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa (?)
CORALLO: Per farla sentire meno ridicolo, dato che questa sensazione è un po’ comune a tutti ? Mi scusi, professore, vorrei dirle che la scrupolosità della Commissione parte da un’ipotesi che dobbiamo accertare essere inesistente, e cioè - non credo molto agli spiriti - se ci possa essere stato qualcuno capace di ispirarli (?) Chi partecipò attivamente al gioco? Voi eravate tanti, però un ditino sul piattino chi lo metteva?
ROMANO PRODI: A turno tutti: c’erano 5 bambini; era una cosa buffa. Non crediamo alla atmosfera degli spiriti e che ci fosse un medium. Io le dico: tutti; anch’io ho messo il dito nel piattino (?)
PRESIDENTE: Non c’era un direttore dei giochi?
ROMANO PRODI: No. Bisogna vedere come se ne sono impadroniti i giornali; come di una seduta medianica, che non so nemmeno cosa sia, ma era un gioco collettivo invece, come tutti facemmo in quel momento; l’ho imparato dopo.
LAPENTA: Chi lanciò l’idea di questo gioco?
ROMANO PRODI: All’inizio il padrone di casa; non so? All’inizio ero in disparte con i bambini e dopo il gioco mi ha incuriosito.
FLAMIGNI: Come venne fuori la specificazione «casa con cantina»?
ROMANO PRODI: Ne sono venute fuori diecimila di queste cose: è venuto fuori «cantina», «acqua». In questo momento non lo ricordo nemmeno; il gioco è andato avanti per ore (?) Ripeto che non ho preso sul serio queste cose e, evidentemente, se non ci fosse stato quel nome, non avrei nè raccontato nè detto la cosa perchè cerco di essere un uomo ragionevole, onestamente.
FLAMIGNI: Nella testimonianza che lei ha reso al giudice dice: «Fui io a comunicare al dottor Umberto Cavina, nonchè il giorno prima alla Digos di Bologna attraverso un collega universitario, la notizia concernente la località: Gradoli, in provincia di Viterbo. A tale indicazione, con l’aggiunta che poteva trattarsi di una casa?»
ROMANO PRODI: Guardi, non me lo ricordavo neanche per il poco peso che gli ho dato. Ne sono saltate fuori tante di queste cose! Tutti hanno detto che non conoscevano questo paese; questo era importante.
PRESIDENTE: La notizia era talmente importante che se l’avessero ben utilizzata, le cose probabilmente sarebbero cambiate.
ROMANO PRODI: Non ho mai creduto a queste cose sarà stato un caso.
COLOMBO: Tutte le persone parlavano di un paese?
ROMANO PRODI: Bolsena, Viterbo, Gradoli; si faceva la targa VT; i monti Volsini? ripeto, dopo si dava importanza perchè avevamo visto dove erano; con la carta geografica in mano, fa tutti i «ballottini» che vuole?
CORALLO: «Ballottini» sta per piccoli imbrogli.
ROMANO PRODI: Con la carta geografica davanti davanti, lei capisce non è più?Scusi l’espressione.
FLAMIGNI: Dopo la seduta spiritica?
ROMANO PRODI: No, era veramente un gioco.
FLAMIGNI: Non si può chiamare seduta spiritica.
ROMANO PRODI: Non me ne intendo; mi dicono che ci vuole un medium.
FLAMIGNI: Comunque il risultato, la conclusione è che almeno quando viene fuori la parola «Gradoli» le si attribuisce importanza perchè lo si comunica alla segreteria nazionale della Dc, al capo della Polizia; poi, si muove tutto l’apparato.
ROMANO PRODI: Quando l’ho comunicato a Cavina m’ha detto che ce ne sono state quarantamila di queste cose. Fino al momento del nome, non era stato molto importante; per scrupolo (?) lo comunichiamo (?)
FLAMIGNI: Lei venne appositamente a Roma per riferire a Cavina?
ROMANO PRODI: No, era un convegno non ricordo su che cosa, e dovevo venire a Roma.
FLAMIGNI: E quanti giorni dopo il «giochetto»?
ROMANO PRODI: Due-tre, non ricordo (?)
FLAMIGNI: Chi interpretava le risposte del piattino?
ROMANO PRODI: Un po’ tutti. Era semplice, vi erano le lettere, si mettevano in fila e si scrivevano.
FLAMIGNI: Bisognerebbe capire qual era esattamente lo svolgimento del gioco (?) quali erano le domande poste.
ROMANO PRODI: Le domande erano: dov’è? perchè? Moro è vivo o morto? Del resto, persone che hanno fatto altre volte il «piattino» sanno di che cosa si tratta e possono darle spiegazioni più esaurienti.
BOSCO: Chi erano le persone che l’avevano fatto altre volte?
ROMANO PRODI: II professor Clò, ad esempio, ed altri che risponderanno perchè sono tutti qui (?)
FLAMIGNI: (?) sarebbe importante quantificare quali furono le domande.
ROMANO PRODI: Questo non ha niente a che fare con la tecnica del gioco ed è evidente che me lo ricordi. Le domande erano: dov’è Moro? Come si chiama il paese, il posto in cui è? In quale provincia? E nell’acqua o nella terra? E’ vivo o morto?
FLAMIGNI: Quali erano le risposte ad ognuna di queste domande?
ROMANO PRODI: Qui intervengono problemi tecnici sui quali potranno essere date spiegazioni più esaurienti delle mie; comunque, vi erano delle lettere su un foglio e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava sì o no.
FLAMIGNI: Che cosa succede: uno mette il dito su questo piattino?
ROMANO PRODI: No, tutti.
FLAMIGNI: Ad un certo momento parte un impulso per cui il piattino si sposta e va su una lettera?
ROMANO PRODI: Sì. Posso comunque dire che, dopo questa esperienza, ho trovato tanta gente che mi ha confessato di aver fatto la medesima cosa.
CORALLO: (?) Di solito, quando il piattino comincia a muoversi, la domanda che si fa è: chi è l’interlocutore, lo spirito con il quale ci si intrattiene.
ROMANO PRODI: Alla fine è accaduto anche questo, ma all’inizio no. C’è stato chi ha detto: interroghiamo Don Sturzo o La Pira, ma le prime risposte, in un primo momento, erano soltanto sì o no.
CORALLO: L’interlocutore era dunque ignoto.
ROMANO PRODI: All’inizio sì, poi vi furono anche interlocutori vari tra i quali, per quel che mi ricordo, Don Sturzo (?)
CORALLO: Si trattava dunque di un gioco in famiglia, tra amici. Un’ultima domanda professore: tra i partecipanti, vi era anche qualche esperto di criminologia?
ROMANO PRODI: No, assolutamente no (?) Tra i partecipanti alla seduta vi ero io, che sono un economista, il professor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clo, che ha l’incarico di economia applicata all’Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo (non so di quale branca, anche se mi pare genetica) e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all’Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l’economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente.
SCIASCIA: Nella lettera che è stata mandata alla Commissione, firmata da tutti voi, si dice che la proposta di fare il gioco è partita dal professor Clo.
ROMANO PRODI: Perchè era il padrone di casa.
SCIASCIA: Nella lettera si aggiunge che tutti vi parteciparono a puro titolo di curiosità e di passatempo, che la seduta si svolse in un’atmosfera assolutamente ludica.
ROMANO PRODI: Vi erano cinque bambini al di sotto dei dieci anni!
SCIASCIA: Si dice anche che nessuno aveva predisposizione alcuna di tipo parapsicologico o, comunque, pratica di queste cose, ma una certa pratica di queste cose qualcuno doveva pur averla!
ROMANO PRODI: Certo, a livello di gioco, la tecnica era conosciuta; però pratica di queste cose direi che non vi fosse. Ripeto, a posteriori, mi sono reso conto che vi è gente che tutte le sere lo fa!
SCIASCIA: Tra i dodici, qualcuno aveva pratica di queste cose?
ROMANO PRODI: Intendiamoci sulla parola pratica, onorevole Sciascia. Se qualcuno lo aveva fatto altre volte voi lo potrete sapere chiedendo agli altri, ma nella nostra lettera abbiamo detto che non vi era nessuno che, con intensità, si dedicava a questo. naturalmente vi era qualcuno che, altre volte, l’aveva fatto.
SCIASCIA: Francamente, io non saprei farlo.
ROMANO PRODI: Anche io non sapevo farlo! Non ne avevo la minima idea e, infatti, mi sono incuriosito moltissimo.
SCIASCIA: La contraddizione che emerge è questa: se c’è una seduta di gente che crede negli spiriti o, comunque, nella possibilità che si verifichino fenomeni simili, se c’è una seduta di questo genere - ripeto - e ne viene fuori un certo risultato del quale ci si precipita ad informare la Polizia ed il Ministero dell’Interno lo posso capire benissimo, ma che si svolga tutto questo in un’atmosfera assolutamente ludica, presenti i bambini, per gioco, e che poi si informi di ciò la Polizia attraverso la mediazione di uno che non era stato presente al gioco, e se ne informi quindi il Ministero dell’Interno, a me sembra eccessivo e contraddittorio.
ROMANO PRODI: Ma è venuto fuori, onorevole, un nome che nessuno conosceva! Anche se ci siamo trovati in questa situazione ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di voi sa se ci sia? Se soltanto qualcuno avesse detto di conoscere Gradoli, io mi sarei guardato bene dal dirlo. E’ apparso un nome che nessuno conosceva, allora per ragionevolezza ho pensato di dirlo.
SCIASCIA: Direi per irragionevolezza.
ROMANO PRODI: La chiami come vuole. La motivazione reale è che con una parola sconosciuta, che poi trova riscontro nella carta geografica, a questo punto è apparso giusto per scrupolo?
SCIASCIA: Poteva far parte della insensatezza del gioco anche il nome Gradoli.
ROMANO PRODI: Però era scritto nella carta del Touring.
SCIASCIA: La signora Anselmi dice che seguirono dei numeri che poi risultarono corrispondere sia alla distanza di Gradoli paese da Viterbo sia al numero civico e all’interno di via Gradoli.
ROMANO PRODI: Questo proprio non mi sembra c’era sul giornale?SCIASCIA: La signora dice di aver sentito questo dal dottor Cavina.
ROMANO PRODI: Onestamente io non.. Non avrei difficoltà a dirlo.
CORALLO: Nell’appunto di Cavina c’è il numero della strada.
ROMANO PRODI: Può darsi che negli appunti ci sia perchè dopo abbiamo visto sulla carta, strada statale, i monti vicini. L’importante è che si trattava del nome di un paese che a detta di tutti nessuno dei presenti conosceva. Capisco che era tutta un’atmosfera irragionevole, però?
SCIASCIA: Non mi sembra determinante il fatto che non si conoscesse il nome. Viterbo si conosceva e poteva benissimo trattarsi anche di Viterbo.
ROMANO PRODI: Se fosse stato Viterbo, non ci avrei badato perchè si può sempre comporre una parola che si conosce.
SCIASCIA: Chi ha deciso di comunicare all’esterno il risultato della seduta?
ROMANO PRODI: L’ho fatto io perchè ero l’unica persona che conoscesse qualcuno a Roma. Ho parlato con tutti, con Andreatta etc. Non è che ho telefonato d’urgenza; ho detto vado a Roma e lo comunico. Questo è stato deciso una volta che si è saputo che esisteva questo paese che nessuno conosceva.
SCIASCIA: Ora le farò una domanda che farò a tutti. Lei ha mai conosciuto nessuno accusato o indiziato di terrorismo?
ROMANO PRODI: Mai.
COVATTA: II senso della domanda è se qualcuno aveva interesse ad ispirare gli spiriti.
ROMANO PRODI: E’ sempre la domanda che mi sono sempre posto anch’io.
BOSCO: All’interrogativo che si è posto, come ha risposto? Cioè se qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti.
ROMANO PRODI: Lo escluderei assolutamente.
BOSCO: Quindi si è trattato di spiriti.
ROMANO PRODI: O del caso? Non so? Mi sembra che il senso della domanda dell’onorevole Covatta sia quello di chiedere se c’era qualcuno che voleva fare «il furbetto», spingendo in un certo modo o rallentando. Questo no. D’altra parte?
FLAMIGNI: Se avessimo ascoltato un riferimento di quella seduta in maniera molto impegnata e che i protagonisti credevano veramente allo spiritismo e alla possibilità di avere qualche forza in aiuto, allora mi darei una spiegazione, ma proprio perchè il professor Prodi parla di tutto ciò come un gioco, la mia curiosità si accentua. Ritengo che qualcuno potesse anche sapere. Parto da questa considerazione per dire che voglio conoscere le domande effettive e le risposte che sono venute fuori.
ROMANO PRODI: Ho detto le domande effettive e le risposte. Uno dei problemi che si pone per una cosa del genere è proprio quello contenuto nella sua domanda. Crede che quando è uscito il nome di via Gradoli io non mi sia posto il problema di chiedermi se c’era qualcuno che faceva il furbo? Altrimenti non sarei qui in questa situazione in cui mi sento estremamente imbarazzato ed estremamente ridicolo (?)